CAPITALE & LAVORO

Crescita economica: proviamo a costruire riforme di struttura

ROMANO ROBERTO, FERRARI SERGIO,

L'assetto industriale, economico e sociale è profondamente mutato in questi ultimi 15 anni. Le politiche pubbliche sono «aggredite» da una parte rilevante del pensiero economico, ma anche dall'oggettiva difficoltà di trovare degli equilibri superiori rispetto all'evoluzione del mercato e del paradigma tecnologico. Il rischio è quello descritto da Federico Caffè: «l'influenza della teoria economica, ai fini della soluzione di problemi concreti di politica economica, si manifesta generalmente con notevole ritardo, quando si manifesta...gli uomini della pratica, i quali si credono affatto liberi da qualsiasi influenza intellettuale, sono usualmente schiavi di qualche economista defunto... Non però immediatamente, ma dopo un certo intervallo».
In questi ultimi anni abbiamo assistito al «superamento» dell'approccio shumpeteriano allo sviluppo. E' cambiato il paradigma tecnologico e l'intensità tecnologica del capitale. Il contenuto hight tech dei beni e servizi ha proporzioni tali da condizionare l'accumulazione del sistema produttivo capitalistico. La componente hight tech è passata dal 15% dell'interscambio internazionale (1985) al 40% (2005). Le implicazioni economiche e sociali nella produzione e nell'organizzazione del lavoro sono enormi e non sempre di facile lettura. In qualche modo la ricerca e sviluppo, la conoscenza, il sapere e saper fare, la formazione di base diventano non solo strategiche per il posizionamento internazionale, ma inevitabili per rimanere agganciati ai paesi più avanzati. Diversamente la crescita economica e il benessere (sociale) né risentirebbero pesantemente. Le conseguenze sul target dell'intervento pubblico sono evidenti. Non si tratta (solo) di «ridistribuire reddito», piuttosto di organizzare le policy adeguate per la formazione-generazione del capitale cognitivo. Infatti, la componente tecnica del capitale condiziona tutte le tipologie di produzione. Non sono interessati solo i beni intermedi e strumentali, ma anche i beni di consumo. Se la crescita dei beni intermedi e strumentali registra tassi di crescita più che doppi rispetto ai beni di consumo, la crescita dei beni di consumo è possibile a condizione di possedere le competenze tecniche nei beni strumentali e intermedi.
Se per lunghissimo tempo la conoscenza tecnologica è andata accumulandosi senza che vi fosse alcun ponte con la «scienza», nell'attuale società è avvenuta una progressiva saldatura tra ricerca scientifica e tecnologia. Sostanzialmente si realizza un fenomeno chiamato «convergenza tecnologica» (Rosemberg, 1976), che diventa stringente nell'attuale assetto produttivo-accumulativo. Sui legami tra il progresso tecnico e la dinamica complessiva del sistema economico anche Pasinetti, sin dal 1981, affronta la tematica del mutamento tecnico in relazione alle decisioni che ogni società deve prendere in materia di consumo e investimenti.
L'Italia si trova agli estremi opposti della «convergenza tecnologica», tanto da impedire l'integrazione reale con i principali Paesi europei. L'analisi comparata dell'Italia all'Europa suggerisce degli spunti interessanti circa la necessità di "costruire" delle riforme di struttura, cioè del mercato. Utilizzando la variazione del Pil e quella degli investimenti fissi lordi di Italia ed Europa è possibile indagare il livello di convergenza-divergenza del sistema economico nazionale a quello europeo. Esaminando gli anni 1996-2006 si osserva uno spread nella crescita economica di 8,4 punti percentuali sfavorevole all'Italia, nonostante gli investimenti fissi lordi siano in linea alla media europea, sia dal lato dello stock e sia dal lato delle variazioni annue.
A parità di «approfondimento» del capitale e competenza tecnica non dovrebbe verificarsi lo spread (negativo) di crescita economica indicato. Tra il 1996 e il 2006 l'Ue ha un rapporto tra le variazioni annue tra gli investimenti-reddito significativamente più alto di quello realizzato dall'Italia, sia per quanto riguarda la «variazione» dei tassi di crescita legato alla variazione degli investimenti e sia dal lato dello stock di capitale.
La differenza (negativa) è attribuibile al valore aggiunto ricavabile dalla diversa specializzazione produttiva dell'Italia rispetto all'Europa. Il capitale europeo ha tassi di produttività più alti dell'Italia, nonostante il nostro paese abbia un tasso di attività lavorativo più basso dell'Europa. Il rapporto tra le variazioni Pil/investimenti fissi lordi per l'Europa è pari a 0,84, mentre per l'Italia è 0,54, così come per il rapporto Pil/Stock di capitale. Lo spread è legato alla diversa specializzazione produttiva, cioè al contenuto tecnologico dei beni e servizi realizzati. È giusto sottolineare che il mezzogiorno non ha colpe. La Lombardia ha un rapporto pari a 0,24, cioè la Lombardia trascina ai margini dell'Europa il Paese. Se la spesa pubblica del Paese è, più o meno, in linea con la media europea e sono gli indicatori di «mercato» quelli che divergono: sarebbe utile riprendere Lombardi ed elaborare delle politiche pubbliche capaci di condizionare proprio il nostro mercato (il sistema industriale), vero malato del Paese.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it