Non c'era da aspettarsi roboanti proclami o storici accordi dalla visita del re dell'Arabia Saudita Abdullah II in Vaticano. Ma, nel voler incontrare il sovrano wahabita, papa Ratzinger si è spinto molto avanti, perfino oltre il suo predecessore Wojtyla. L'interlocutore era il «custode delle due moschee», colui che regna nella terra sacra islamica dove i cristiani non hanno libertà di culto, nemmeno in privato, il capo di uno stato che non ha relazioni diplomatiche con la Santa sede, più volte messo all'indice come paese che nega le libertà e i diritti fondamentali dell'individuo.
Eppure Ratzinger ha voluto correre il rischio di legittimare il sovrano «tutto islam e petrolio» perchè desideroso di dare una marcia in più alle relazioni fra Santa sede e mondo islamico. D'altronde, dopo il pasticcio di Ratisbona di circa un anno fa - quando Benedetto XVI bollò l'islam come religione violenta e irrazionale - il papa tedesco ha imparato a sue spese che ogni sua parola viene soppesata al milligrammo, e che la galassia del mondo musulmano merita un'attenzione speciale, in quanto le relazioni con la «faglia culturale islamica» sono fondamentali per la Chiesa sotto tutti i punti di vista: religioso, spirituale, culturale, strategico, diplomatico, sociale, politico. E così, proprio dopo l'errore madornale di Ratisbona, Benedetto XVI ha disposto un repentina inversione di marcia. Prima ha ripristinato il dicastero vaticano per il dialogo interreligioso (che in precedenza aveva fuso con quello della cultura, declassandolo), ponendovi a capo un cardinale di vasta esperienza diplomatica, il francese Jean-Louis Touran, apprezzato «ministro degli esteri» dell'era Wojtyla. Poi ha dato ordine ai nunzi apostolici sparsi nel mondo di ricostruire il tessuto connettivo delle relazioni, che aveva subito uno strappo, e nel contempo ha incontrato gli ambasciatori dei paesi islamici. Ha messo piede in Turchia entrando scalzo in moschea, e scambiando cordialità con le autorità musulmane del paese. Ha ricordato con favore il 27 ottobre, data dello storico incontro di Wojtyla con i leader religiosi di tutto il mondo ad Assisi (a quei tempi da lui stesso osteggiato), partecipando direttamente a un evento che ricalcava quello spirito, il meeting della comunità di Sant'Egidio a Napoli. Ha ricevuto con favore la recente lettera che 138 intellettuali e religiosi musulmani (anche sauditi) gli hanno inviato per ribadire l'importanza del dialogo islamo-cristiano.
Il faccia a faccia con Abdullah rappresenta dunque una tappa di un preciso cammino politico e religioso di riavvicinamento al mondo musulmano che ha l'obiettivo di garantire alle comunità cristiane libertà, diritti, vita pacifica. Ecco, dunque, l'incontro di ieri, che Abdullah non poteva rifiutare: scarso in quanto a risultati concreti, ma vissuto in un'atmosfera che gioverà alle relazioni bilaterali. Il colloquio, ha detto il Vaticano, ha toccato temi come «l'impegno in favore del dialogo interculturale e interreligioso, per la pacifica e fruttuosa convivenza tra uomini e popoli, e il valore della collaborazione tra cristiani, musulmani ed ebrei per la promozione della pace», e ha previsto «uno scambio di idee sul Medio Oriente e sulla necessità di trovare una giusta soluzione ai conflitti che travagliano la regione». Con un delicato riferimento anche alla «presenza positiva e operosa dei cristiani» in terra saudita. Ammissione che trasforma la visita in un successo per la diplomazia vaticana.
*Lettera22