VISIONI

«Bourne Ultimatum», in cerca del proprio passato

CATACCHIO ANTONELLO,

La prima volta in cui è apparso Jason Bourne vagava svenuto al largo della costa italiana. Soccorso dai pescatori è sopravvissuto, senza però avere la minima idea di chi fosse. Memoria praticamente cancellata. Ma, si sa, qualche traccia rimane sempre. Infatti lui comincia a darsi da fare. E dopo un paio di film, se non proprio la vera identità, si è capito se non altro cosa facesse Jason Bourne. L'agente segreto. Meglio il killer superaddestrato di una sottomarca della Cia. E il copione tratto dai romanzi di Robert Ludlum prevede che mentre lui continui la sua ricerca, i cattivi di Washington vogliano stenderlo perché scomodo testimone.
Il terzo episodio della serie, che il protagonista Matt Damon afferma essere l'ultimo, anche se tutto lascia presagire il contrario, prosegue sulla falsariga già tracciata con Paul Grengrass alla regia, come per il secondo, e Doug Liman, regista del prototipo in veste di produttore esecutivo. C'è però un problema. Lo spiazzamento determinato dal dovere rimettere a posto i tasselli è ormai svanito, non sappiamo ancora il nome vero di Jason, ma tutto il resto è abbastanza chiaro. Il nostro, in pratica, non è più tanto in cerca di un'identità quanto di un passato. E qui il dato è meno interessante. Ecco allora il giovinotto smarrito ma perfettamente addestrato si trasforma in qualcosa che va oltre, il miglior allievo del corso dei killer per conto dello stato indossa quasi un'invisibile divisa da James Bond. Intorno non incrocia pupe mozzafiato, però tutto il resto non manca. L'azione si sposta continuamente da una città all'altra (Londra, Parigi, Tangeri, Madrid, New York con una parentesi torinese molto finta all'angolo di un'inesistente via Giotto), con Damon intento a sfoggiare tutto il repertorio di determinazione nonostante abbia contro nemici perfidi e tecnologicamente avanzati.
Per sua fortuna ha un paio di amiche. Joan Allen che interpreta una specie di supervisore presso l'agenzia, inviata dalla politica per controllare che non si verifichino abusi da parte di David Strathairn (anime candide) e Julia Stiles che si espone prepotentemente per salvargli la ghirba e lascia intuire come in passato tra i due il rapporto non fosse solo professionale, però rispetta l'amnesia anche affettiva di Jason, che in realtà veniamo a scoprire essere David Webb, anche se la faccenda non sposta più di tanto.
Come in ogni film d'azione che si rispetti sono le sequenze di genere quelle che danno il tono e Bourne Ultimatum ne vanta almeno un paio davvero notevoli. La prima in una stazione della metropolitana a Londra, la seconda a Tangeri con uno straordinario inseguimento multiplo: Julia Stiles inseguita dai killer, inseguiti da Bourne, inseguito dalla polizia. Là dove il racconto smarrisce il senso per carico eccessivo è a New York, la grande mela sembra svolgere il ruolo di grande pera, tutto assume una tonalità esagerata, enfatizzata, esasperata, non che prima fossimo in ambito neorealista, ma qui qualcuno sbrocca. Peccato perché il faccione attonito di Matt Damon funziona proprio per il contrasto che si determina tra quell'espressione perplessa e disarmata e il talento nel trovare soluzioni inaspettate, non risulta efficace quando deve comportarsi da cartone animato, visto che nessun essere umano potrebbe compiere performance del genere. E allora, nonostante quel sorriso di Julia Stiles nel finale, foriero di nuovi sviluppi, sarebbe meglio evitare un ulteriore sequel che rischierebbe di rovinare quanto di buono ha fatto sinora Jason Bourne.

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