Comincia in modo davvero curioso Il caso Thomas Crawford. Un uomo ha appena ucciso la moglie perché lo tradiva. Arriva la polizia, lui però si arrende e confessa tutto solo a un poliziotto, solitamente negoziatore di ostaggi. Che rimane piuttosto disorientato. Tutto fila liscio ma, accidenti, quella donna circondata dalla pozza di sangue era l'amante del poliziotto. In apparenza il giallo è risolto in partenza. In realtà succede di tutto, inutile raccontare perché solo di successivi colpi di scena campa il film. Per seminare ulteriore confusione la versione italiana di Fracture è diventata Il caso Thomas Crawford, forse per riecheggiare Il caso Thomas Crown, visto che il protagonista del film si chiama Theodore ma si fa chiamare confidenzialmente Ted. Ted che è ingegnere, come dimostra l'arredamento di casa sua e i giochini meccanici che confeziona. Infatti ha pianificato un gioco che si viene a realizzare mossa dopo mossa, a dispetto di quel che è successo all'inizio. Ted chiede di potersi difendere al processo, che il procuratore crede di avere, ovviamente, già vinto. Oltre che sugli spiazzamenti della storia il racconto punta molto sui due interpreti principali, Anthony Hopkins che sembra molto divertito nel proporre una variante della perversione di Hannibal, e Ryan Gosling sempre più invischiato nella rete diabolica ordita da Ted, fresco di nomination all'Oscar per Half Nelson. Dopo diverse prove poco esaltanti, Gregory Hoblit torna al giallo, genere che lo aveva fatto conoscere attraverso il buon successo di Schegge di paura. E così come aveva fatto allora affidandosi a Richard Gere e Edward Norton, si affida questa volta ai citati Anthony Hopkins e Ryan Gosling. Che reggono magnificamente, il limite del film sta invece nella professione del protagonista: ingegnere. Nulla di personale, ma lo sviluppo della storia è davvero un po' troppo meccanica è per questo prevedibile nella sua imprevedibilità. C'è troppo marketing e poco cuore in questa confezione che vorrebbe rinverdire i grandi duelli sorprendenti ma lo fa in termini tanto dichiarati da non suscitare emozioni particolari. Così, come succede nei film che non catturano pienamente, ci si perde nella recitazione (ci sono anche Embeth Davidtz e David Strathairn), nei dettagli, negli oggetti curiosi e si perde di vista il racconto che rischia solo di complicarsi. Thomas Crown era tutta un'altra cosa.