VISIONI

Etenesh e Le Tigre, ipnotico incontro fake-ethio

LORRAI MARCELLO,Milano

Una volta Etenesh Wassié cantava un po' qui e un po' là nella miriade di azmaribet che costituiscono la principale forma di svago offerta dalla Addis Abeba by night: bar solitamente piccoli e senza pretese, animati dagli azmari, sorta di cantastorie tradizionali, specialisti nella tecnica del prendersi gioco di un cliente, utilizzando l'arte tipicamente etiopica della «cera» e dell'«oro», cioè del doppio senso, insistendo fino a quando il cliente - vuoi come riconoscimento della loro bravura, vuoi più banalmente per toglierseli di torno - non tira fuori di tasca un congruo omaggio in bir, la moneta locale. All'epoca nell'ambiente Etenesh non era molto considerata: e chissà che questo non dipendesse proprio dai suoi pregi, da certi tratti non convenzionali del suo canto rispetto alle maniere abituali degli azmari. Con grande temperamento, Etenesh lancia la voce con forza e notevole estensione, con un effetto abbastanza «drammatico» che può far venire in mente le griotte dell'Africa occidentale: ma rispetto alla media degli azmari Etenesh rivela anche una maggiore propensione a modulare l'espressione con un approccio interpretativo che può ricordare le cantanti di jazz. La sua personalità e il suo talento non erano ovviamente sfuggiti a Francis Falceto: il curatore della aurea collana éthiopiques pubblicata dalla francese Buda Musique aveva cominciato a valorizzarla inserendola in una troupe di azmari portata in tournée in Europa, e facendola comparire nel volume 18 della collana, dedicato appunto a questa gloriosa forma di musica popolare etiopica. Così Etenesh, non giovanissima, aveva finalmente preso coraggio e aveva aperto un suo azmaribet, pochi metri quadri, il bar nell'angolo in fondo, un paio di divani, e un'atmosfera tra le più tranquille e a modo fra gli azmaribet della capitale: Etenesh serve da bere e di tanto in tanto si mette a cantare, accompagnata da un suonatore di massenko (il violino tradizionale monocorde), da un percussionista e da alcune giovani che ballano (se andate ad Addis, il locale è nel quartiere di Datsun Sefer, nella via quasi di fronte alla scuola italiana).
Poi nel gennaio del 2006, invitati per il festival musicale organizzato dall'Alliance Ethio-Française (il centro culturale francese) sono arrivati ad Addis Le Tigre des Platanes, quattro ragazzi di Tolosa con un background grosso modo di jazz d'avanguardia e un repertorio nel quale, accanto a rivisitazioni di Ellington, Roscoe Mitchell, Art Ensemble of Chicago e Fela Kuti, trovavano posto anche brani etiopici, per esempio di Mulatu Astatke, il principale esponente del cosiddetto ethio-jazz diventato famoso per la colonna sonora di Broken Flowers. Tornati da Addis corroborate nella loro passione per la musica etiopica, Le Tigre sono adesso protagonisti, complice e vigile Falceto, di una collaborazione con Etenesh di cui si vedranno presto i risultati in un album della nuova collana Ethiosonic, destinata da Falceto ad accogliere le ibridazioni contemporanee e le ripercussioni internazionali della musica etiopica.
In attesa di ascoltare il disco, quanto sia fruttuoso l'incontro fra Etenesh e Le Tigre si è potuto apprezzare nel corso di Festafrica, la serata-concerto di Le Ultime Carovane, quest'anno dedicata al Corno d'Africa. Le Tigre, cioè Marc Demerau, sax alto e baritono, Piero Pépin, tromba e flicorno, Mathieu Sourisseau, chitarra basso, Fabien Duscombs, batteria, stanno alla musica etiopica un po' come il «fake-jazz» dei Lounge Lizards stava al jazz «vero»: come i Lizards suonavano jazz come dei jazzisti «normali» all'epoca non avrebbero avuto l'ispirazione di fare, enfatizzandone dei caratteri, introducendo degli elementi non ortodossi, ma in realtà mettendo in luce qualcosa che nel jazz a cui si riferivano era presente anche se allo stato di latenza, così Le Tigre propongono una sorta di «fake-ethio», calcando, esaltando alcuni tratti, elaborando in maniera certamente inconsueta per la musica etiopica certi stilemi, ma in questo modo, sempre in maniera pertinente e senza eccessi gratuiti, svelando uno spirito che è presente all'interno della musica etiopica, rivelando in un certo senso alla musica etiopica stessa alcuni aspetti della sua identità.
In senso forte Le Tigre interpretano la musica etiopica: qua con il basso che si abbandona ad eccessi quasi punk, là con i fiati che suonano con una grana mingusiana, sempre con una batteria timbricamente ricca e fantasiosa, Le Tigre rendono molto bene quel senso di torbido, di allucinato che spesso la musica etiopica presenta, la saturazione e intossicazione di alcuni momenti, la sospensione di altri, gli andamenti ipnotici, gli scatti, le accelerazioni. Preceduta e seguita da due proposte assai più facili, quella piuttosto modesta dell'esordiente Saba e quella alquanto prevedibile di Habib Koite, con il suo feeling l'esibizione di Etenesh e Le Tigre è riuscita a conquistare un pubblico pur in buona parte non in confidenza né con la musica etiopica né col jazz contemporaneo.

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