«Posso avere quella medicina per favore?» «No, signora, mi spiace, il papa non vuole e io sono un farmacista obiettore». Non si tratta di un colloquio surreale ma di uno scenario che potrebbe rivelarsi quanto mai vicino nel bel paese. E non solo per la richiesta di farmaci come la pillola abortiva Ru 486, che comunque in Italia è stata sperimentata in Piemonte, Toscana, Liguria e Puglia. Magari per farmaci di incidenza minore, che sono però sgraditi al Vaticano. Che dire della pillola anticoncezionale e degli altri metodi che la Chiesa non accetta? Che dire dei preservativi? Si potrà obiettare anche su quelli perché sono oggetti immorali?
Ieri Benedetto XVI è tornato alla carica puntualizzando che anche i farmacisti hanno un «diritto riconosciuto» all'obiezione di coscienza nella fornitura di medicine «che abbiano scopi chiaramente immorali, come per esempio l'aborto e l'eutanasia». I farmacisti ha spigato il papa, devono fungere da intermediari tra i medici e i pazienti e quindi devono «far conoscere le implicazioni etiche dell'uso di alcuni farmaci». «In questo campo - ha detto Ratzinger - non è possibile anestetizzare le coscienze sugli effetti di molecole che hanno lo scopo di evitare l'annidamento di un embrione o di cancellare la vita di una persona. L'essere umano deve essere sempre al centro delle scelte biomediche, e queste sono al servizio dell'uomo».
Ratzinger parlava ai partecipanti al congresso internazionale dei farmacisti cattolici italiani, e non al personale della farmacia vaticana dove ha potere di disporre come crede. Parlava agli operatori delle farmacie che sono presenti nelle strade delle città italiane, dettando comportamenti che avrebbero ricadute sulle famiglie di Milano o Siracusa. «Il farmacista deve invitare ciascuno a un sussulto di umanità, perché ogni essere sia protetto dal concepimento fino alla morte naturale e perché i farmaci svolgano davvero il proprio ruolo terapeutico», ha detto. Dev'essere, insomma, una specie di confessore ed è legittimato a mettere il naso nella vita privata di ogni acquirente di farmaci. Ratzinger ha poi ribadito che «qualsiasi ricerca deve avere come prospettiva un eventuale miglioramento del benessere della persona, e non solo la ricerca di avanzamenti scientifici», criticando le sperimentazioni che risultano immorali secondo i dettami cristiani.
All'ingerenza papale, non si è fatta attendere la risposta di Federfarma, l'associazione che riunisce le 16 mila farmacie italiane: «Non possiamo fare gli obiettori di coscienza senza una modifica della legge», ha commentato il segretario nazionale Franco Caprino. «I farmacisti sono costretti, dietro prescrizione medica, a consegnare il farmaco o a procurarlo, se non disponibile, nel più breve tempo possibile. Se non si modifica l'articolo 38 del testo unico delle leggi sanitarie non si può fare altrimenti».
La battaglia di Ratzinger, allora, si sposta al legislatore: è questo d'altronde il campo di applicazione preferito dal papa tedesco che ha sempre predicato la necessaria influenza della dottrina cristiana sui provvedimenti normativi che regolano la vita delle nazioni (specialmente dell'Italia), asserendo che è questo il livello sostanziale in cui la religione può e deve avere voce in capitolo nella sfera pubblica.
Nello stesso discorso Ratzinger ha poi toccato un tema molto delicato, quello dell'accesso ai farmaci essenziali, invitando le case farmaceutiche a «permettere l'accesso alle cure e ai medicinali di prima necessità a tutti gli strati della popolazione e in tutti i paesi, soprattutto alle persone più povere». Una questione di fondamentale importanza specialmente nel Sud del mondo, che meriterebbe maggiore spazio nella parole del papa e della chiesa.
*Lettera22