Un gruppo di giovani romani in gita scolastica. Ma non è un viaggio come tanti, la destinazione è Auschwitz, accompagnati da alcuni sopravvissuti al campo di sterminio nazista. Succede per la terza volta che il comune di Roma organizzi questo viaggio della e nella memoria. E ogni volta si è affidata a un regista per documentare l'evento. Ecco quindi, dopo Ascanio Celestini e Mimmo Calopresti, Saverio Costanzo chiamato per Auschwitz 2006. Avrebbe potuto essere un lavoro di routine, in fondo tutti abbiamo visto moltissimi documentari sull'argomento. Invece ogni volta capita di stupirsi. In questo caso l'obiettivo dell'incontro nel campo di Auschwitz è proprio legato al fatto che siano i testimoni a raccontare ai giovani quel che lì hanno vissuto. E qui la prima sorpresa. Racconta Costanzo «i ragazzi erano preparati, noi riprendevamo tutto con le telecamere, ma l'aspetto straordinario era come loro andassero diritti al punto, facendo domande che noi, forse per pudore, non avremmo fatto. Sul perdono, il senso di colpa per essere sopravvissuto, la morte». Poi c'è un lavoro di montaggio su immagini di repertorio dai colori agghiaccianti e poco viste. L'idea di ripercorrere quello che era l'itinerario dei deportati, sovrapponendo le immagini di allora a quelle dei giovani di oggi, compresi i primi piani silenziosi, «avrebbe potuto accadere a chiunque» sottolinea Costanzo, che ha inserito il racconto della strage di migliaia di rom avvenuto in una sola notte e mette in primo piano studenti rom. Paolo Terracina racconta, come le sorelle Bucci, all'epoca bambine, Shlomo Venezia rievoca l'orrore (è l'unico Sonderkommando ancora in vita), e per la prima volta parla anche Sami Modiano che sinora aveva preferito tacere. Sono il contesto e le testimonianze a rendere tutto più intenso, come il freddo che attanaglia, nonostante «fossimo coperti e stracoperti, ma eravamo a -10, potevamo solo immaginare quel che doveva essere per i deportati vestiti solo da un pigiama». Ora altri studenti potranno vedere questa nuova testimonianza anche se, dice Costanzo, «niente può trasmettere il senso quanto essere lì e vedere in concreto un campo di sterminio».