VISIONI

«Amo il mio paese, quando vedo che i valori ci vengono sottratti, cerco di fare qualcosa»

Sala stampa
CATACCHIO ANTONELLO,Roma

Tom Cruise e Robert Redford alla conferenza stampa di Lions for Lambs arrivano con forte ritardo, ma sono subito perdonati, anche perché sanno essere spiritosi. Questione di aereo e Redford attacca «abbiamo chiesto al pilota di fare del suo meglio, lui l'ha fatto, per questo siamo un po' nervosi». Una risata che subito stempera il clima dell'attesa. Poi Redford entra nel merito del film. «La sceneggiatura mi ha convinto subito perché molto acuta. Non è sulla guerra, ma su qualcosa di più profondo, su quel che succede nel mio paese in questi anni, sugli effetti e le conseguenze della guerra nei media, nell'educazione dei giovani e nella politica». Anche Cruise si dimostra acuto e spiritoso dopo aver raccontato quanto avesse desiderato lavorare con uno come Redford «perché ha rotto con gli studios per fare i film che voleva - spiega -. Sul set dovevo interagire con Meryl Streep, quando Bob era con noi per dare indicazioni a un certo momento li ho visti uno a fianco dell'altra e credevo di essere sul set di La mia Africa». Poi racconta il suo personaggio, quello di un senatore repubblicano con mire presidenziali che cerca di sfruttare la voglia di scoop della giornalista Mary Streep, «doveva essere un personaggio reale, con tutte le sfumature possibili per essere davvero credibile».
Redford confessa che il suo interesse per la politica e il suo impegno sono nati proprio in Europa, in particolare in Italia: «Quando ero giovane non mi importava niente della politica. Ho incominciato a interessarmi ai problemi del mio paese quando sono venuto in Europa, a Firenze a studiare l'arte, e altri studenti come me mi facevano domande a cui non sapevo rispondere. Allora mi sono informato e documentato, da un punto di vista europeo più che americano. Avere un interesse politico come cittadino e come artista è il mio destino. Nei film che ho fatto, ho cercato di mettere opinioni e sentimenti. Io amo molto il mio paese, lo trovo pieno di valori e quando vedo che questi ci vengono sottratti cerco di fare qualcosa. Dobbiamo parlare degli sbocchi della guerra, abbiamo perso vite, libertà, stabilità finanziaria, rispetto... quali sono le condizioni che hanno portato a tutto questo? Il futuro appartiene ai giovani, che devono prendere voce e avere opinioni, devono agire, inoltre devono ottenere rispetto dai politici, cosa che oggi non avviene». Ma Redford non crede al cinema di propaganda: «il ruolo del cinema è fare spettacolo dicendo cose importanti, non credo che il mio paese apprezzi i film di propaganda». Tutto nasce dall'11 settembre: «Non capivamo cosa stesse succedendo, allora il governo ci chiese di sostenerlo, anche abbandonando il nostro diritto di critica. Fece la stessa richiesta anche ai media e agiva da una posizione di grande forza perché aveva la maggioranza nei due rami del parlamento e nella Corte suprema. Ora però dopo tanti anni di silenzio abbiamo capito perché siamo andati in guerra e quale sia stato il suo costo. Dobbiamo quindi cercare di controllare la politica. Quello che mi interessava fare con questo film era l'idea che queste tre storie potessero essere messe insieme in maniera drammatica per spingere il pubblico a riflettere su quale sia la nostra situazione attualmente». E Cruise ribadisce: «la guerra non ha mai risolto nulla. È necessaria più comunicazione e più rispetto reciproco. Questo film spinge decisamente il pubblico al dialogo».
Cruise poi si rivela abile anche nel gestire l'incontro, scherza con le cuffie della traduzione fingendo di ascoltarle anche quando le domande sono in inglese, poi visto che accanto a lui e Redford stanno Michael Peña e l'esordiente Andrew Garfield, ovviamente oscurati dalla presenza dei big, lui riesce a coinvolgerli e farli parlare proprio in quanto giovani.

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