LA PAGINA 3

A San Giovanni in scena gli «invisibili»

CATACCHIO ANTONELLO,Roma

Fischia il vento e infuria la bufera in piazza San Giovanni. Verrebbe voglia di aggiungere scarpe rotte eppur bisogna andar. Sì, perché bisognava essere lì, sotto un vento gelido e sferzante, consapevoli della necessità di esserci, per mettere un'infinità di puntini sulle i di tante speranze disattese, di tanti disagi trascurati, di tanta voglia di futuro diverso. Riprendendo il filo di un passato da troppi dimenticato, così, quando gli organizzatori e Pietro Ingrao si affacciano per primi sul palco parte anche un coro improvvisato di Bandiera rossa. Tra un intervento e l'altro, compreso quello di Giuliana Sgrena che ricorda servitù militari, guerra e situazione irachena, mentre buona parte del corteo è ancora lontana, si succedono gli artisti che portano il loro segno concreto di solidarietà e identità. Tocca a Enzo Avitabile e i Bottari scaldare la piazza con i loro suoni napoletani che pescano però in tutto il Mediterraneo. Sono percussioni che invitano a segnare il ritmo sono fiati che lanciano le loro sonorità per arrivare al cuore, con quei costumi bianchi e fascia azzurra che appaiono quasi fiabeschi. Quando smettono di suonare, mentre si prepara l'impianto per chi li seguirà, c'è spazio per gli interventi. Appassionati, indignati, fermi. Si parla dei 250 appartamenti requisiti a sei immobiliari a Roma per darli a chi ne ha necessità, con la domanda su quel che sarà tra tre anni, quando scadranno i termini. Una giovane figlia di immigrati stigmatizza la Bossi-Fini perché lei si sente estranea nel suo paese. Una studentessa ricorda la condizioni attuali della scuola. Aurelio Mancuso dell'Arcigay è contento che il papa sia contro il precariato, ma gli ricorda i quattrini che la chiesa prende dallo stato, la continua interferenza sui fatti italiani, le discriminazioni e gli attacchi feroci contro gay e donne. Poi arrivano i Têtes de bois, vere teste di legno che si ostinano a girare l'Italia portando le loro canzoni dove gli operai lottano. Come dicono loro stessi, «Avanti Pop è un disco nato davanti alle fabbriche, ai call center, ai campi di pomodori, dall'esperienza reale di un progetto di indagine e testimonianza artistica nel mondo di chi lavora: l'omonimo viaggio-concerto a bordo del vecchio camioncino Fiat 615 del 1956 - da sempre emblema del gruppo - in luoghi in cui la dignità dei lavoratori sia stata violata e riscattata e che finora ha toccato i cancelli della Fiat Sata di Melfi, le cartiere di Isola del Liri, le acciaierie di Terni, i campi di Borgo Libertà, l'Atesia, la ferrovia di Allumiere».
E la canzone d'apertura è proprio Avanti pop. Poi rispolverano Paolo Pietrangeli che «tira, tira quella leva/spingi a fondo quel bottone/tu non sai quello che fai/te lo ordina un padrone». Oggi la consapevolezza è maggiore di quella di un tempo, quel che manca è un lavoro vero, non invenzioni che truccano le carte. A seguire l'omaggio al grandissimo Piero Ciampi con la rilettura di Andare, camminare, lavorare, urlata in faccia a una piazza che si riempie sempre più. Per chiudere sul dissenso più esplicito di Vomito.
Sul palco arrivano gli operai dell'Enel di Civitavecchia per ricordare il loro no al carbone e Michele Cozzolino, morto mercoledì scorso per un incidente sul lavoro. In molti sono venuti anche dalla Sardegna a ricordare condizioni disastrose, come due anni di cassa integrazione a 500 euro al mese, con condimento di qualche francesismo, oppure per ricordare la lotta degli agricoltori stritolati da banche e multinazionali, con complicità politiche.
Quando arriva sul palco Ulderico Pesce per il suo monologo, il freddo è sempre pungente, ma il clima ormai è caldo. Certo, all'inizio il radiomicrofono non riesce a raggiungere tutti, poi tutto si aggiusta e lui può recitare il suo racconto sull'assunzione come operaio alla Fiat di Melfi grazie al puzzle di Bambi. Già perché il test consiste proprio nel ricomporre velocemente quel puzzle che lui ha sistemato un'infinità di volte per il nipote. È assunzione, grande gioia, ma non è che poi in fabbrica siano proprio tutte rose e fiori. Pesce ricorda suo padre, incazzato come una bestia, si lamenta dell'assenza di Epifani, poi teatralmente indignato si chiede «Chi cazzo li difende gli operai? Gli attori?»
Dal palco ce n'è per tutti tra gli oratori delle tante invisibilità divenute per un giorno visibili e microfonate, poi arriva Ascanio Celestini con quel suo modo così particolare e così efficace di fare teatro e saper cogliere le contraddizioni di una realtà che è lì, sotto gli occhi di tutti, ma che non tutti vogliono o sanno raccontare. Celestini che ha appena firmato Parole sante sui precari dell'Atesia e quindi Telecom (presente alla Festa di Roma), parla dal palco mentre sotto di lui si mettono in evidenza i lavoratori Vodafone con il cartello Vendesi in bella e fluorescente evidenza. «Prodi e Berlusconi dicono di essere ottimisti, dicono le stesse cose: e allora perché andiamo a votare?». Si domanda Ascanio, che prosegue definendo il precariato come una bomba ad orologeria: «Una bomba che però scoppia ogni tre mesi, ad ogni scadenza di contratto precario». Ma ormai le voci del palco sono già arrivate, seppure tardi, in tv.

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