VISIONI

La provincia felliniana e sottotraccia di Mazzacurati

CATACCHIO ANTONELLO

Sarà giusta la distanza breve che separa la presentazione del nuovo film di Carlo Mazzacurati alla Festa del cinema con la sua uscita in sala? Quel che è certo è che La giusta distanza è titolo perfetto per il film.È un giornalista che spiega al ragazzino aspirante cronista locale come affrontare quel che succede nella zona. Non si può essere troppo distaccati da quel che si racconta rischiando così di apparire freddi, ma neppure bisogna lasciarsi coinvolgere troppo dalla conoscenza dei personaggi protagonisti di qualche vicenda, si potrebbe essere fuorviati dalle emozioni e se ti fai prendere dall'emozione sei fritto. Insomma, bisogna mantenere La giusta distanza. Una stupidaggine a effetto, che Mazzacurati evita con cura, provando invece profonda empatia per i suoi personaggi, compresi quelli negativi, quasi a dire che un male assoluto non esiste, esistono comportamenti negativi, discutibili, censurabili ma la metaforica pena di morte per i cattivi va evitata. Poi i suoi protagonisti sono gente qualunque: il tabaccaio, la maestra, il meccanico, l'autista dell'autobus, l'estetista, il piadinaro, il giornalista e lo studente, il manager del call center erotico e l'avvocato, ognuno con i suoi pregi e i suoi difetti. La storia è semplice: la maestra del paese è uscita di testa (e quando riappare è come un sogno felliniano, unico momento fantastico del film), ne arriva una nuova, giovane e dinamica. Un po' tutti sono affascinati da lei. Il tabaccaio arricchito, con moglie rumena scelta da un catalogo in Internet, sfoggia lo yacht e le mani lunghe, il meccanico tunisino la spia dal bosco e le sistema un'auto usata, il ragazzino le aggiusta la connessione Internet e spia le sue mail, l'autista ferma l'autobus per darle una mano quando ha l'auto in panne. Intorno a lei ruota un microcosmo che ha cambiato pelle. Qualcuno ha fatto fortuna, qualche immigrato è arrivato, i ragazzini sono più sboccati, la provincia italiana è raccontata senza esasperazioni, anche se ci scappa il morto e riaffiorano i pregiudizi. Quel che conta è il clima di incertezza, quello che invita a vivere i tempi arraffando quel che si può, come fa il tabaccaio che si inventa la pesca d'altura nell'Adriatico, spendendo per comprarsi il Suv e le vacanze esotiche tutto compreso. Non è cattivo, neppure lo dipingono così, è un uomo dei nostri tempi. Come dei nostri tempi è l'immigrato che ha una sua etica e una sua cultura che difende senza integralismi, solo che, a differenza del cognato, non intende diventare un «occidentale»", per questo non beve (quasi mai) vino, soffre per la condizione di solitudine, spia la maestra, sino a quando nasce un rapporto. Ma, accidenti, lei tiene la giusta distanza, vive la cosa come una parentesi, in attesa di cambiare posto (deve andare in Brasile come cooperante) e frequentazioni. Per lui è un investimento diverso, non si tratta di un'avventura erotica, ma di una scelta profonda.
Mazzacurati torna sui luoghi del suo primo film, in quella provincia che non ha alcuna intenzione di lasciare (anche per il montaggio del film non ha voluto andare a Roma). Luoghi che sono cambiati più nelle persone che negli scenari, lì la banalità e la casualità del male è più evidente. Non c'è bisogno di serial killer e di sangue che sgorga copioso, basta poco per sconvolgere le tranquille esistenze del paesino di Concadalbero, inesistente ma realistico a ridosso del delta padano, dei cani morti ammazzati, poi un omicidio che arriva nel finale. Ma non si urla. Neppure nel film che lavora sottotraccia, stana la solitudine che attanaglia un po' tutti in un affresco poderoso e avvincente nel suo rifiuto di diventare sensazionalismo per cercare invece emozioni. Vere.

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