POLITICA & SOCIETÀ

E dall'Europa arrivano solo le briciole

GUERRISI TIZIANA

Al centro dell'Europa sono molti i governi che assegnano alla salute solo le briciole dell'Aps nazionale. Sono investimenti che finiscono soprattutto nella lotta alle grandi pandemie, lasciando da parte gli interventi sui sistemi sanitari di base. La Francia rientra perfettamente nel trend: circa il 50 % delle risorse per la salute (appena il 4 % dell'Aps nel 2004 e 2005) finisce nella lotta alle grandi malattie, soprattutto contro l'Hiv-Aids, nello specifico nelle casse del Fondo Globale. Anche la Germania non brilla per interventismo. Ben lontana dal raggiungimento dello 0,1 % del pil indicato dall'Ocse, non ha neppure un dipartimento specifico per la salute all'interno del Bmz (il ministero federale per la cooperazione e lo sviluppo). Un ritardo che Berlino ha iniziato a colmare proprio nel 2007, anno che ha visto la Germania alla presidenza dell'Ue e anche padrona di casa dell'ultimo G8. Berlino comunque - nonostante le linee guida degli Obiettivi del Millennio - ha evitato di concentrare il suo impegno nell'Africa subsahariana e a conti fatti gli investimenti in salute non superano il 5 % di un Aps che - secondo la rete di ong europee Concord - nel 2005 è stato dello 0,2 %, e non dello 0,35 % dichiarato. Un gap che Concord imputa alla contabilizzazione nel bilancio della cancellazione del debito. L'Inghilterra, secondo erogatore di Aps nel 2006 dopo gli Stati uniti e proiettato a raggiungere lo 0,7 già nel 2013 se la cava meglio. Già secondo finanziatore dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, è fra i primi sostenitori dell'Unfpa (il fondo Onu per la popolazione) e in termini di efficienza vanta il 90 % di fondi effettivamente arrivati a destinazione. Ma l'attenzione alla salute di base rimane scarsa e nell'ultimo bilancio le risorse specifiche sono calate in un paese dove la società civile ancora fatica a proporre un agenda di priorità. Problemi simili per la Spagna, attore abbastanza giovane nella cooperazione internazionale, che negli ultimi decenni ha saputo crescere velocemente, anche se rimangono almeno un paio di contraddizioni. Sulla scelta, in più del 93 % dei casi, di spendere in progetti tradizionali (iniziative specifiche), invece che in programmi che lasciano alle autorità locali maggiore spazio, e su una società civile non ancora in grado di monitorare l'azione di governo.
La crisi generale di sistema che attraversa la cooperazione internazionale si legge in parte proprio nel progressivo ripiegamento sul multilaterale, come dimostra la Germania che dopo aver investito per anni i 2/3 dell'Aps nel canale bilaterale, ha optato ormai in modo massiccio per il multilaterale (Ue, Banca Mondiale e agenzie delle Nazioni Unite). Un modo per sbloccare capitali in fretta, ma anche per fuggire da assunzioni dirette di responsabilità e che dimostra l'incapacità di proporre nuove strategie nelle sedi internazionali. Dall'altra parte un recente sondaggio in Spagna dimostra che il dibattito rimane ancora affare di pochi, che la maggior parte della popolazione - seppure ipoteticamente sensibile - ne sa poco. Nel 2006 l'81% delle persone sosteneva l'impegno del governo nonostante i costi economici, rispetto al 20% del 1993. Eppure il 76% degli intervistati spagnoli non sa quanto del pil finisce alla cooperazione allo sviluppo, e il 32% ignora il traguardo dello 0,7% di Aps entro il 2015. Ma il dato forse più indicativo è che oltre il 73% non ha mai sentito parlare degli Obiettivi del Millennio, e che la percentuale è la stessa del 2005. Viene da chiedersi quanti in Italia, fermati per strada, avrebbero risposto diversamente.

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