VISIONI

Cecil Taylor, un pianista vigoroso e inarrivabile

LORRAI MARCELLO,Bologna

Ha fatto notizia che venerdì sera al Comunale di Bologna Cecil Taylor abbia piantato in asso Anthony Braxton, nel bel mezzo di un assolo di quest'ultimo, ponendo bruscamente termine, dopo appena venti minuti, a quel duo Taylor/Braxton che nelle intenzioni della direzione artistica assicurata da Angelica avrebbe dovuto essere, e in prima assoluta, l'evento dei «Concerti contemporanei», quest'anni imperniati appunto su Taylor. Ma le vere notizie che arrivano dalla quarta edizione della manifestazione sono altre. La prima è che Taylor (79 anni il prossimo marzo) rimane un pianista (e in generale un musicista) inarrivabile, e che era ai Comunali di Bologna e Modena e al Valli di Reggio Emilia che in questi giorni bisognava andare a cercare la più alta espressione contemporanea del pianismo di ambito jazzistico: e non già alla Scala, dove domenica si è esibito Jarrett. Bastava e avanzava, per averne, se ce ne fosse stato bisogno, una conferma, il solo di mezz'ora che Taylor ha proposto in prima parte di serata proprio a Bologna: originale nel suo sviluppo rispetto a diversi altri soli di Taylor ascoltati negli ultimi anni, lucido, superbamente sicuro dall'inizio alla fine senza il minimo calo di tensione, magistralmente ricco di dinamiche e di registri, dalla leggiadrìa vezzosa da minuetto fino alla fragorosa gomitata sulla tastiera (sempre più una rarità nelle performence di Taylor), passando per figure che tornano ostinatamente nel suo pianismo, vuoi lente e liriche, vuoi liquide o concitate.
La seconda notizia è che, come si è potuto constatare sabato sera, quando a Reggio Emilia il previsto quartetto Taylor/Braxton/William Parker (contrabbasso)/Tony Oxley (batteria) si è regolarmente, seppur solo per una mezz'oretta, esibito, ricucendo lo strappo della sera prima, l'incontro fra il pianista e il sassofonista non era un semplice accostamento ad effetto di due grandi nomi, ma aveva un senso musicale effettivo: diversamente dalla sera prima, la musica è decollata subito, in una direzione «energetica» cara al Taylor degli anni ruggenti del free; il pianista ha suonato in certi momenti con foga, e Braxton, col suo originale approccio alle ance, ha mostrato sul sopranino, soprano, alto e clarinetto contrabbasso quanto potrebbe essere un valore aggiunto per la musica di Taylor, che dopo la morte del fedelissimo Jimmy Lyons ('86) non ha più inserito stabilmente nei suoi gruppi un sax alto di livello così elevato. E questo lo si è visto, paradossalmente dopo l'incidente della sera prima, proprio a Reggio - che rappresentava la seconda volta del quartetto - più che nel luglio scorso a Londra, dove Taylor e Braxton, appunto con questa formazione, avevano suonato assieme per la prima volta in assoluto. E - pochi hanno avuto il privilegio - lo si è visto anche a Bologna durante il sound check pomeridiano del trio Taylor/Braxton/Parker poi abortito la sera: tutto era filato liscissimo, e la prova del suono si era trasformata in un magnifico concerto di tre quarti d'ora senza soluzione di continuità: in un clima musicale a sua volta completamente diverso da quello poi creato dal quartetto di Reggio, un Taylor prima rarefatto e poi concitato, un Braxton fluido e spesso melodico, spesso addirittura arioso, con suoni piuttosto dolci e pastosi sull'alto e il soprano, un Parker splendido nel sostegno corposo e nell'articolazione timbrica. C'è da sperare che il sound check sia stato registrato: sarebbe un disco magnifico.
Ci sono ancora due notizie che arrivano da queste tre serate: la musica di ricerca neroamericana è vivissima, e il colpo d'occhio offerto dai teatri che l'hanno ospitata ci dice che ha anche un pubblico.

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