LA PAGINA 3

Obama: «La rockstar della politica americana»

TONELLO FABRIZIO,

Periodicamente, i democratici americani scoprono il loro «volto nuovo», il politico «diverso dagli altri», il leader che li riporterà alla Casa Bianca. È un entusiasmo comprensibile se si pensa che, nell'ultimo quarto di secolo, il partito ha avuto la possibilità di applicare i suoi programmi solo nel biennio 1993-94, dopo la vittoria un po' a sorpresa di Bill Clinton nel 1992, con Camera e Senato ugualmente a maggioranza democratica. Gli altri sei anni di Clinton furono caratterizzati dalla paralisi politica perché il controllo del Congresso passò ai repubblicani che ne approfittarono per avviare la procedura di impeachment contro lo stesso Clinton (per il famoso caso di Monica Lewinsky).
L'ultimo candidato democratico originario del Nord che sia riuscito a vincere le elezioni fu John Kennedy, nel 1960: evidentemente gli strateghi del partito non hanno ancora metabolizzato le regole non scritte ma ferree della geografia politica americana. Per come è strutturato il collegio elettorale (cioè l'assemblea di delegati dei 50 stati che effettivamente elegge il presidente) oggi solo un leader originario del midwest o del Sud può raccogliere il numero di voti necessari per vincere.
Nel 2008 un candidato proveniente dal cuore dell'America ci sarebbe: si chiama Barack Obama, è nero, fa il senatore dell'Illinois. Troverete tutto su di lui nell'utilissimo libro di Guido Moltedo e Marilisa Palumbo, Barack Obama (Utet, pag.143, 11 euro) tempestiva biografia che ha per sottotitolo «La rockstar della politica americana». In effetti, Obama (figlio di padre keniano e di madre americana bianca) è alto 1,83, si muove un po' come se fosse sempre sul palcoscenico e ha grande carisma. Che questo sia poi sufficiente per farne un candidato alla presidenza resta da vedere.
Moltedo e Palumbo hanno fatto un accurato lavoro di ricostruzione della vita un po' avventurosa del loro personaggio, mettendo in rilievo quello che è la sua dote principale: «Obama si fa strada come il primo vero candidato post-ideologico. Visionario e pragmatico, idealista e concreto. Capace di costruire ponti e parlare anche agli elettori conservatori, cercando insieme le soluzioni che interessano il Paese nel suo insieme».
Obama non è giovanissimo, ha 46 anni, più di quanti ne avesse John Kennedy quando fu eletto, ma certamente è una faccia nuova, in grado di motivare i giovani, negli Stati Uniti un segmento dell'elettorato che vota poco. Nelle presidenziali del 2000, per esempio, votò solo il 37% dei cittadini fra 18 e 24 anni, contro il 64% di quelli con più di 25 anni. Nel 2004 l'afflusso fu un po' maggiore, mentre quest'anno i sondaggi registrano fra i ventenni un interesse per la politica molto più forte di alcuni anni fa. In parte è grazie ad Obama ma è anche il risultato di due elezioni perdute a causa di alcuni Stati dove la differenza tra i due candidati era di poche centinaia di schede. Nel 2008, i democratici sono sicuri di portare a votare per la prima volta, a livello nazionale, addirittura tre milioni di giovani sotto i 29 anni.
Non tutti voteranno democratico, al contrario. Negli anni Ottanta, i ventenni sono stati di simpatie conservatrici, negli anni Novanta tendevano a votare democratico, ma timidamente. Oggi la guerra ha polarizzato le opinioni e la presenza di amici in Iraq ha fortemente spostato a sinistra le intenzioni di voto. Secondo il Pew Center, uno degli istituti di ricerca più seri e affidabili, tra chi ha meno di 30 anni, il 60% ha intenzione di votare per il candidato democratico e soltanto il 40% per quello repubblicano. Certo, una «faccia nuova» come quella di Obama sarebbe per loro più attraente di quella di Hillary Clinton, che non solo ha l'età dei loro genitori ma è in politica da una vita e ha già passato otto anni alla Casa Bianca.
Le elezioni presidenziali americane, però, non si vincono puntando solo sui giovani, e Obama non ha particolari vantaggi all'interno della comunità afroamericana: i neri votano al 90% per i democratici, chiunque sia il candidato. Piuttosto, è interessante la sua capacità di essere «profondamente religioso senza mai apparire anti-moderno», come scrivono Moltedo e Palumbo: per un Paese dove la religione ha una presenza dominante nella vita pubblica, la capacità di parlare un linguaggio che raggiunge anche gli elettori evangelici (che non sono tutti conservatori) è un grande vantaggio. Insomma, Obama è un fenomeno nuovo nella politica americana, il 2008 non sarà probabilmente l'anno giusto per lui ma gli mancano 25 anni prima di raggiungere l'età alla quale Ronald Reagan fu eletto presidente per la prima volta.

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