CULTURA

Da oggi a Pisa si riunisce la comunità «acara»

Hackmeeting
PIERANNI SIMONE,

Sono passate dieci edizioni dal primo hackmeeting, a Firenze, nel 1998, e tante cose sono cambiate. Sono in molti oggi a conoscere il significato della parola hacker, nonostante l'uso truffaldino che ancora se ne fa su molti mezzi di informazione, dove spesso è confuso con altri termini (cracker, su tutti). Linux e l'Open Source non sono più ignoti, anzi: perfino il sovraesposto Grillo ha avuto modo di scandalizzarsi - e urlarlo a Bologna durante il suo V-day - per i soldi pubblici spesi per pagare Bill Gates e il suo sistema operativo Windows, anziché utilizzare software open source. A dispetto degli anatemi in favore del diritto d'autore, la grande maggioranza della popolazione è ormai solita scaricare film e musica da Internet, dimostrando dimestichezza con le più recenti forme di peer to peer. L'informazione reticolare e le vite di community di senso e intenti, ormai spadroneggiano nel web, grazie a blog, siti, social networks. Si direbbe insomma che in dieci anni molti punti fermi dell'hackmeeting abbiano trovato una collocazione nell'immaginario collettivo.
Eppure, al cattivo Microsoft si è opposto il più buono Google: don't be evil il suo motto, salvo rivelare le stesse mire egemoniche e i propri lati oscuri; il web 2.0 e con esso l'opinione pubblica del world wide web, osannata dal «Times» appena un anno fa, nasconde angoli bui in tema di privacy e controllo, coadiuvati da software che permettono ai guru del marketing di realizzare i loro sogni proibiti: conoscere vita morte e miracoli dei propri consumatori, specie quelli on line. Grazie a marchingegni open source, naturalmente.
A Pisa da oggi al 30 settembre presso il Rebeldia (tutte le informazioni sono nel sito www.hackmeeting.org) la comunità acara si ritroverà in una tre giorni ricca di incontri e chiacchiere a latere. Il programma - oltre ai classici seminari per smanettoni impenitenti e a un intrigante hack the bread, «ovvero come mandare in galera i panettieri e fare un pane da sballo» in cui la libera ricetta del pane scatenerà un vibrante parallelo con il software - prevede una focalizzazione sull'uso delle tecnologie in chiave censoria e sicuritaria, unitamente a uno svolazzo sul web 2.0 e le sue insidie, e la presentazione di un interessante progetto, cookiecensus.org.
Stando però alle sinossi dei seminari in programma e alle parole di presentazione, il percorso pare andare in una direzione di analisi piuttosto tecnologica, senza indagare i problemi in un'accezione più allargata, riassumibile intorno al nodo della comunicazione nei nostri giorni, e all'importanza di chi della comunicazione gestisce la filiera tra nascita, controllo, gestione e diffusione. La comunità acara, tuttavia, non può non fare i conti con la naturale collocazione dell'hacker nel mondo aziendale, per esempio in ruoli di controllo dei sistemi tecnologici di banche o di imprese delle telecomunicazioni, e dunque riflettere sulla propria consapevolezza politica nell'ambito delle strategie di controllo sociale. Ne deriva un altro problema relativo al mondo del lavoro, in cui la precarietà si collega con i temi dell'accesso alle informazioni e alla loro gestione. Una elaborazione su questi nodi potrebbe aprire rapporti di condivisione e cooperazione con altri «percorsi» che indagano gli stessi problemi, partendo dall'elemento più chiaramente politico - dalla precarietà alla gestione dell'informazione - di cui gli hacker, volenti o nolenti, fanno parte.

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