POLITICA & SOCIETÀ

Inflazione, occupazione e salari

ROMANO ROBERTO,

La valutazione dello stato dell'economia italiana comparata a quella europea trova ulteriori spunti di analisi dalla crescita dell'occupazione, dalla riduzione del tasso di disoccupazione e di quello dell'inflazione. I manuali di economia dicono che la riduzione della disoccupazione è possibile a patto di sopportare un costo in termini di maggiore inflazione e viceversa. E' la cosiddetta curva di Phillips. Se osservassimo l'Italia dal 1995 al 2006 è evidente che i presupposti della curva di Phillps, ovvero la stretta relazione tra occupazione ed inflazione, non siano coerenti. Evidentemente vi sono altri elementi che hanno concorso al mantenimento-raggiungimento del tasso di inflazione europeo.
Il tasso di disoccupazione dell'Italia nel periodo passa dall'11 al 7%, mentre l'inflazione è scesa dal 5 al 2%. Indiscutibilmente l'Italia ha tentato di raggiungere gli obiettivi di Lisbona, ma lo spread (distanza) che separa l'Italia dall'Europa sembra non ridursi con la necessaria velocità, come se non fosse possibile andare oltre le attuali grandezze stock. Non a caso il tasso di attività, indicatore più credibile per valutare il target dell'occupazione, rimane strutturalmente più basso della media europea a 15. Nel 1996 lo spread Italia-Europa era pari a 8,8 punti, mentre nel 2006 era di 7,4 punti. Rimane importante il contenimento dell'inflazione. Alcuni ricercatori attribuiscono questo risultato alla moderazione salariale, alla flessibilità del mercato del lavoro (Treu e Biagi) e all'apertura del mercato italiano. Le «misure» indicate hanno in qualche modo concorso all'esito del contenimento dell'inflazione, ma a parità di condizioni macroeconomiche tra l'Italia e l'Europa sarebbe stato difficile conseguire gli stessi risultati. Infatti, l'inflazione è l'esito finale di diverse componenti, tra cui i costi di produzione.
La contrazione del reddito da lavoro dipendente rispetto al Pil negli ultimi anni è stato significativo e tale da attribuirgli una parte del processo di rientro-adeguamento del tasso di inflazione. Il reddito da lavoro dipendente è passato dal 43,7% del Pil del 1993 al 40,7% del 2004, nonostante il numero dei lavoratori dipendenti nel periodo considerato sia aumentato di 1,3 milioni.
Sostanzialmente la crescita dell'occupazione, garnde nel numero ma qualitativamente condizionata dal target del tessuto produttivo, non è coinciso con un incremento del reddito complessivo del lavoro dipendente, mentre nella media dei Paesi europei il reddito da lavoro dipendente rimane costantemente intorno al 50% del Pil. Ma altri fattori hanno concorso alla riduzione dell'inflazione. In particolare la mancata crescita dell'Italia rispetto a quella fatta registrare dalla media europea del Pil, che è diventata non solo strutturale, ma la forbice tende ad aumentare. Si passa dal meno 0,3% del 1996 al meno 0,8% del 2006, unitamente alla produzione industriale che passa da meno 0,9% del 1996 a meno 2,1% del 2006.
Evidentemente il raggiungimento del target del tasso di inflazione europeo è stato conseguito attraverso la contrazione della crescita economica, in ragione della specializzazione produttiva del Paese, della contrazione della produzione industriale e dal minore costo del lavoro.
La stessa crescita degli investimenti fissi lordi dell'Italia, ormai equivalenti alla media dei paesi europei in termini di percentuale del Pil, hanno concorso alla contrazione della dinamica dell'inflazione, anche se in misura più contenuta. Da un lato hanno permesso un parziale adeguamento dei processi produttivi senza i quali non sarebbe stato possibile al made in Italy di restare competitivo sui mercati internazionali, dall'altro si avverte una tendenza all'importazione di inflazione, nel senso che una parte degli investimenti fissi lordi sono in realtà importazioni di beni intermedi e di investimento che non realizziamo sul territorio nazionale.
Non a caso l'inflazione alla produzione dell'Italia è sempre, almeno nel lungo periodo, più alta della media europea. Se la crescita del commercio internazionale dei beni ad alto contenuto tecnologica mantiene l'attuale tasso di crescita, e l'Italia mantiene l'attuale specializzazione produttiva, è probabile attendersi una crescita dell'inflazione in ragione del fatto che il paese non produce questi beni.
Se l'Italia avesse registrato gli stessi indicatori macroeconomici dell'Europa, difficilmente sarebbe stato possibile realizzare un tasso di inflazione prossimo a quello europeo, almeno che non realizzi delle riforme di «struttura» di lombardiana memoria.
Più che registrare «l'adeguamento» del tasso di inflazione dell'Italia alla media dei paesi europei, sarebbe molto più utile capire le ragioni di questo «successo», cioè l'allontanamento del paese nella specializzazione produttiva, nella produttività conseguante al target dei beni e servizi e da ultimo a un ruolo pubblico in economia significativamente più contenuto della media dell'Ue. Allora il «successo» rispetto all'inflazione è forse l'altra faccia della medaglia del declino del paese.

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