VISIONI

Sullo schermo Glauber Rocha, ruggisce ancora il «Leao de Veneza»

ZANZA DAVIDE,Venezia

Nel 1980 il regista brasiliano Glauber Rocha, presenta durante il Festival di Venezia il suo ultimo film (morirà improvvisamente l'anno successivo a quarantadue anni di polmonite), A Idade da Terra (L'età della terra), un'opera fortemente innovativa anche dal punto di vista del linguaggio cinematografico. Centosessanta minuti nei quali Rocha, rompendo qualsiasi rapporto con il mezzo filmico, reinventa il valore politico e sociale del cinema, raccontando il suo lavoro ma soprattutto il Brasile di quel periodo (diviso e contrastato tra l'affermarsi del capitalismo, militarismo, imperialismo, rivoluzionismo, marxismo, razzismo, sessismo, religione, ecc. ecc.) in un incredibile crescendo di musica, suoni, voci, colori, suggestioni impossibili da descrivere dal punto di vista narrativo e per questo di grande impatto «rivoluzionario».
Quest'anno a distanza di quasi trent'anni da quella presentazione, che accese polemiche e divise il mondo della cultura, Venezia ha dedicato due appuntamenti al grande regista brasiliano: la proiezione, Fuori concorso, della versione restaurata di A Idate da Terra, mentre nella sezione Orizzonti doc, è stato presentato il documentario diretto da Joel Pizzini e Paloma Rocha (figlia del regista), Anabazys. Il film non vuole essere un semplice omaggio al regista brasiliano bensì un quadro completo del suo modo di essere regista, in un'indagine sulle motivazioni estetiche e politiche che hanno cercato di rompere qualsiasi schema precostituito, tanto da far assumere a Rocha, ad esempio, in prima persona il ruolo di attore della sua stessa storia.
Anabazys è suddiviso in tredici blocchi indipendenti che ne ripercorrono le tappe creative. All'inizio è la stessa voce di Rocha, intervallata o sovraesposta a immagini inedite di A Idate da Terra (tratte dalle oltre sessanta ore di materiale girato, scartate in fase di montaggio), che ci racconta lo stato del cinema brasiliano di quell'epoca, insieme alla situazione politica e estetica che accompagna il suo lavoro. Mano a mano che si procede in avanti con il racconto, si passa alla descrizione della genesi del film attraverso le testimonianze dirette dei suoi collaboratori: attori, attrici, staff tecnico che ci spiegano cosa voleva dire, all'epoca, essere diretti da Glauber Rocha, lavorando senza schemi in assoluta libertà di movimento e di emozione. La musica, i suoni, le voci vengono così fuse tanto da creare un'immagine del tutto nuova. Queste testimonianze ci raccontano anche diversi aneddoti che tratteggiano ancor di più il temperamento del regista. Ad esempio il direttore della fotografia ci svela di quando durante la stampa di una sequenza, l'operatore espone inavvertitamente il materiale girato alla luce del sole. L'«errore» viene notato alla proiezione dei giornalieri quando ci si accorge che alle immagini vengono impressi forti bagliori che diventano sempre più forti mano a mano che si procede in avanti. Per Rocha è un magnifico imprevisto anche perché la scena «rovinata» ruotava intorno all'affermarsi del capitalismo in quello che lo stesso Rocha chiamerà «il segno evidente lasciato dall'affermarsi del capitalismo». Scopriamo così l'importanza del suo montaggio nucleare (cioè che nasce e si sviluppa a partire da un nucleo di tematiche che percorrono la sequenza), che accelera le immagini per rafforzarne il ritmo. Il film si conclude con l'episodio intitolato Leao de Veneza (Leone di Venezia): la presentazione di A Idate da Terra alla Mostra del cinema del 1980, che la critica italiana stronca considerandola di regime, che la stampa francese e portoghese apprezza e che trova il consenso e la stima del regista italiano Michelangelo Antonioni.

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