INTERNAZIONALE

Ogaden devastato, Msf accusa l'Etiopia

MANFREDI EMILIO,Addis Abeba

 «Nella Somali Region, una regione dell'Etiopia al confine con la Somalia dove è in corso un conflitto, la popolazione civile è minacciata dalla violenza che la costringe a fuggire dalle proprie case. Il governo etiope nega a Medici senza frontiere (Msf) l'accesso a questa regione, nonostante la popolazione abbia un evidente e urgente bisogno di assistenza umanitaria». Così Msf ieri, in due conferenze stampa congiunte a Roma e Nairobi, ha denunciato la chiusura all'intervento medico-sanitario in tutta la regione, conosciuta anche come Ogaden, abitata quasi totalmente da genti di etnia somala.
Una terra arida, colpita da pesanti siccità e carestie, a cui fanno spesso seguito pesanti inondazioni. Un'area dove le infrastrutture sono ridotte al minimo e dove la vita di per sé è già una scommessa quotidiana, in cui da anni si combatte una guerra a bassa intensità tra le truppe dell'esercito di Addis Abeba e un gruppo ribelle indipendentista, il Fronte nazionale di liberazione dell'Ogaden (Onlf), che lotta per l'autodeterminazione del popolo Ogadeni. Dopo anni di relativa calma, il conflitto si è infiammato nell'ultimo anno, complice l'invasione etiope della vicina Somalia, il deteriorarsi delle condizioni di vita della popolazione - in maggior parte semi nomade e dedita alla pastorizia - e l'incremento delle trivellazioni a scopo di estrazione di greggio e gas naturali condotti da diverse multinazionali del petrolio. A detta dell'Onlf, gli utili dell'estrazione non raggiungono minimamente le genti locali.
Lo scorso aprile, un attacco dell'Onlf contro un campo estrattivo cinese ha provocato diversi morti tra i dipendenti e ha scatenato la reazione del governo etiope, che nello scorso giugno ha dato il via ad una pesante offensiva militare volta ad eliminare i ribelli. Secondo Peter Takirambudde, direttore di Human Rights Watch - Africa (Hrw), «le truppe etiopiche stanno distruggendo villaggi e proprietà, confiscano mandrie e costringono i civili ad abbandonare le proprie case. Qualunque sia la strategia militare, questi abusi violano le leggi di guerra». Dall'inizio della campagna militare nessuno è riuscito a verificare le reali condizioni dell'Ogaden. Se ufficialmente la regione è rimasta aperta agli operatori internazionali e alla stampa, solo pochi giorni fa l'Etiopia ha permesso ad una missione dell'Onu di fare visita alla regione.
Prima del grido di allarme di Msf, il governo etiope aveva espulso dalla Somali Region la Croce Rossa Internazionale, accusandola di supportare i ribelli. Ieri, il governo di Addis Abeba si è dichiarato sorpreso delle dichiarazioni di Msf.
Il portavoce del Ministero degli esteri etiope, Wahide Belay, ha dichiarato al manifesto: «A parte la Croce Rossa, ogni Ong è benvenuta in Somali Region. Non abbiamo mai negato l'accesso in quest'area a Msf, che è tuttora presente. Queste dichiarazioni lasciano perplessi. È un grosso errore di calcolo di Msf, che deve smettere di minacciare il governo etiope, e di fare da portavoce del'Onlf, che è l'unico vero problema dell'Ogaden. Dopo la nostra offensiva, la situazione sta velocemente migliorando. La missione dell'Onu lo dimostrerà». Ma per Medici senza frontiere «in Somali Region è in corso una crisi umanitaria», ha dichiarato William Robertson, capo missione di Msf in Etiopia. «Le nostre equipe hanno curato persone che erano state costrette a fuggire dalle loro case e stanno lottando per sopravvivere con poca o nessuna assistenza».
Sempre secondo l'organizzazione non governativa, gli abitanti e le persone sfollate hanno riferito loro che stanno esaurendo le scorte alimentari. «La scorsa settimana, abbiamo chiesto alle autorità di concederci un accesso di 24/48 ore per potere rifornire di medicinali il centro di salute di Fiq», ha affermato Loris De Filippi, coordinatore delle operazioni di Msf in Etiopia. «Sappiamo che al centro di salute e nel distretto mancano i farmaci e che le ultime scorte sono arrivate 6 mesi fa. Ma, ancora una volta, le autorità hanno rifiutato di permettere alla nostra equipe di muoversi dalla capitale della regione, Jijiga».
Rimane da attendere la conclusione della missione Onu, per capire quali saranno i prossimi sviluppi.

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