INTERNAZIONALE

L' «eco-socialismo» di Rafael Correa

Ecuador
MARTONE FRANCESCO,Quito

«Quien debe a quien», chi deve a chi: è il leitmotiv che ha attraversato i lavori dell'Incontro latinoamericano e del Caribe sul «debito ecologico» tenutosi la scorsa settimana a Quito, in Ecuador.
Nel paraninfo dell'Università Andina Simon Bolivar si sono succedute le testimonianze di movimenti sociali di tutta l'America latina, che hanno fornito elementi concreti a un concetto che capovolge i rapporti di forza che hanno storicamente caratterizzato il rapporto tra paesi ricchi e del sud del mondo. Non un nord creditore di un sud indebitato, ma viceversa. E' qui infatti che i popoli hanno sofferto e soffrono gli effetti di un modello di sviluppo che divora risorse naturali, che moltiplica le violazioni dei diritti sociali, e sono questi paesi dunque a dover esigere il risarcimento di un debito contratto a danno dell'ambiente e delle popolazioni locali.
Ora per la prima volta un governo ha deciso di fare di questo concetto l'elemento distintivo del proprio impegno internazionale. Lo ha detto chiaramente il ministro degli esteri del governo di Rafael Correa, Maria Fernanda Espinosa, intervenuta a inaugurare l'assemblea convocata da Accion Ecologica, Jubileo Sur, Alleanza dei popoli creditori del sud del mondo ed altre reti latino-americane di movimenti sociali.
L'Ecuador ha deciso di dichiararsi di fronte alla comunità internazionale creditore del debito ecologico. Oltre alla richiesta di risarcimento del debito ecologico, verranno avanzate richieste di cancellazione del debito illegittimo, e una campagna che legherà il tema del debito a quello dei diritti dei migranti.
Insomma il piccolo paese andino si vuole porre come leader di una versione ecologica del socialismo del XXI, («eco-socialismo», specifica Aurora Donoso di Accion Ecologica), che metta in crisi il modello sviluppista o centrato sul petrolio o sulle grandi infrastrutture quali l'Iirsa, che rischiano di caratterizzare le varie esperienze di sinistra latino-americane. Una contraddizione presente anche nel governo Correa, come ha sottolineato Alberto Acosta, già ministro dell'energia e ora candidato di punta di Alianza Pais per l'assemblea costituente.
Questa contraddizione ha attraversato le discussioni nell'Università Simon Bolivar, con vari esponenti di comunità locali che subiscono l'impatto di progetti minerari, o di coltivazione industriale di gamberi, o di grandi dighe, e che hanno contestato anche duramente il governo Correa. I lavori si sono conclusi con una dichiarazione presentata ai membri della neonata «Commissione di auditoria sul debito», che dovrà far luce e studiare tutti i debiti contratti dall'Ecuador dal 1973 al 2003 per definire quelli che andranno considerati illegittimi, in un'operazione di trasparenza su un tema finora confinato al circolo esclusivo del Club di Parigi (i paesi detentori di grandi crediti internazionali).
Da Quito il testimone ora passa all'Aja, dove il 15 ottobre un altro «tribunale» analizzerà le politiche della Banca mondiale nel settore delle industrie estrattive (idrocarburi e miniere) e nell'imposizione di condizionalità per la concessione di prestiti e per l'accesso ai meccanismi di riduzione del debito (crediti dati in cambio dell'impegno ad applicare «aggiustamenti strutturali» e altre ricette di stampo liberista).
Dall'Europa all'India all'America latina, i movimenti alzano il tiro per sferrare un colpo forse letale ad un modello, quello neo-liberista, ed alle sue istituzioni ormai in preda a una crisi di identità e legittimità probabilmente irreversibile.
* senatore di Rifondazione comunista-Sinistra europea

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