VISIONI

I reclusi del paradiso, fra zucchero e baracche

CATACCHIO ANTONELLOLocarno

Non bisogna lasciarsi trarre in inganno dall'aspetto tranquillo di Claudio Del Punta. Perché gira armato. Porta con sé un'arma ritenuta obsoleta come quella dell'indignazione. Un'arma che sfodera solo in casi di necessità, perché mantiene la calma nonostante il suo film abbia avuto una presentazione stampa quasi da sabotaggio (il sonoro non ha funzionato bene, ma la proiezione è stata interrotta solo dopo 40 minuti). Riesce anche a mettere in secondo piano il suo film rispetto alla tematica che affronta. Più che alle recensioni è interessato al fatto che i media parlino della condizione inumana che vivono gli haitiani e i dominicani di origine haitiana situazione che qualcuno ha definito «Schiavi in paradiso». Si tratta di quel che succede nell'isola un tempo chiamata Hispaniola, ora divisa in due, Haiti e la repubblica Dominicana. Due paesi poveri, ma il primo è sette volte più povero del secondo...
Cominciamo allora con la geografia
È una situazione anomala e strana, forse solo Cipro la vive come isola divisa in due in cui due comunità devono convivere e non ci riescono. La repubblica Dominicana è ipernazionalista, popolata da portatori di odio che fanno risalire a problemi storici, quando nel 1822 Haiti aveva riunificato l'isola, ma oggi questo dato non dovrebbe più avere argomenti di stupido razzismo. Il governo dominicano è cosciente di quel che succede, ma va avanti così, da più di un secolo, perché comunque è una situazione che porta utili economici e politici e privilegia i militari. Per questo non sono concesse migliorie anche se vengono favoriti gli ingressi illegali.
Il flusso migratorio è continuo, con destinazione i campi di raccolta della canna da zucchero, ma anche le piantagioni di frutta e l'edilizia. Gli haitiani vivono in baracche senza acqua e servizi igienici, non hanno documenti, quindi niente scuola né diritti...
L'integrazione non è permessa. L'anno scorso c'è stato un caso arrivato sui giornali perché un'attivista, Sonia Pierre, è riuscita a vincere una causa presso la corte interamericana dei diritti umani. Si trattava di due bimbe nate a Haiti che chiedevano i documenti. Ora però Sonia ha problemi di isolamento e vive sotto minaccia. È solo uno dei tanti esempi di un'oligarchia che comanda grazie a un militarismo mascherato pur con un presidente eletto.
Sulla scrivania del presidente Leonel Fernandez, giacciono inevase le denunce di assassini, stupri, espulsioni di massa e altre nefandezze compiute dai suoi militari e polizie private a danno degli haitiani. Nel film si dice che le piantagioni dove lavorano la maggior parte di questi neoschiavi, non sono più statali. A chi appartengono?
A tre aziende. Una è statale, ma affittata a dei guatemaltechi, una appartiene alla famiglia Vicini, latifondisti di origine italiana, che hanno fatto cacciare dalle autorità ecclesiastiche Christopher Hartley, un prete combattivo che cercava di sindacalizzare gli haitiani. La terza è della famiglia Fanjul, cubano-americani, e si dice che Pepe Fanjul fosse al telefono con Clinton mentre il presidente era nello studio ovale con Monica Lewinski. Quindi personaggio di frequentazioni potenti. Ma ora hanno dovuto subire un processo in Florida, dove hanno piantagioni, per una class action nata dopo un articolo di Vanity Fair. E diventerà anche un film dal titolo Sugar King per volontà di Jodie Foster. Pepe Fanjul sarà interpretato da Robert De Niro.
Quanti sono gli haitiani che vivono in queste condizioni?
Di preciso non si sa, ma la cifra è compresa tra 500mila e un milione. Vivono questa forma di schiavitù proprio vicino ai luoghi in cui gli occidentali vanno in vacanza. Vicino a un batey avevano registrato l'Isola dei famosi, molti villaggi sono stati costruiti da queste persone, poi abbandonate a se stesse. Il razzismo domina a santo Domingo, per cui i neri sono haitiani e loro si ritengono mulatti, è alimentato per mantenere questo stato di cose. I media possono fare molto perché l'economia del paese dipende dai rapporti con l'Occidente; è indispensabile fare pressione per cancellare questo scempio che talvolta diventa massacro, come ha scritto Edwige Danticat, premio Pulitzer.
E il film?
Lo abbiamo girato proprio sul posto, in un batey, parola che per gli indios taino che abitavano lì prima dell'arrivo dell'assassino Colombo, significava piazza centrale, il luogo di ritrovo, ora invece sono i villaggi all'interno delle piantagioni. Ci hanno cacciato un paio di volte perché non eravamo graditi. Volevo fare cinema morale, qualcosa per cui valesse la pena. Poi sono sempre stato affascinato dalla cultura haitiana. In Italia, il film non ha ancora distribuzione, ma in Francia uscirà tra qualche mese.

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