Extraordinary Rendition, film in concorso del britannico Jim Threapleton, ha tutte le carte in regola per scuotere le coscienze. Già dal titolo che riprende il nome del programma abominevole con cui i servizi segreti occidentali, Cia in testa, hanno deciso come sia possibile rapire legalmente (?) qualsiasi cittadino sospettato di avere rapporti con il terrorismo internazionale, per portarlo in paesi dove sia possibile torturare e anche uccidere, in barba a tutte le convenzioni internazionali. I casi documentati da Amnesty International, che supporta il film, sono già 1100. E il film si ispira proprio a uno di questi casi, quello di un ingegnere canadese di origine siriana, rapito a New York, portato in Siria dove è stato sottoposto a interrogatori e torture per un anno, prima di essere rilasciato come se nulla fosse successo.
Threapleton però prende una strada diversa dal documentario o dalla docufiction; il suo protagonista diventa un cittadino britannico di origine araba che viene sequestrato e subisce tutte le atrocità, raccontate però con un montaggio che alterna la mostruosa prigionia e gli interrogatori, con il tentativo di tornare a una vita normale dopo la liberazione. E qui tutto si perde, perché la valenza politica generale si stempera in un dato soggettivo confuso, seppur rilevante da un punto di vista umano. L'enormità di quanto succede con la complicità attiva dei vari governi si riduce così alla difficoltà di reinserimento, prevale il dramma umano sulla tragedia epocale e la sceneggiatura si smarrisce in una fiction che perde interesse. Non bastano le buone intenzioni per realizzare un buon film, così Extraordinary Rendition rischia di non centrare neppure l'obiettivo di essere pretesto per un dibattito e un confronto serrato su un argomento delicato che coinvolge tutti.