SPORT

L'idea Intercampus, il gioco del calcio salvato dai ragazzini

CATACCHIO ANTONELLO

Brunico La folla di tifosi si assiepa attorno al campo dove i ragazzi dell'Inter si sono ritrovati dopo le vacanze estive. La società presenta sponsor e iniziative varie. Tra cui l'approdo su Second Life con tanto di tour virtuale della sede di via Durini, mentre a Shanghai è inaugurato l'Interstore, negozio che vende esclusivamente prodotti della squadra. Quello di quest'anno non è un raduno come tanti, non solo perché finalmente i nerazzurri possono ostentare uno scudetto vinto sul campo (quindi senza possibilità nasi arricciati), ma perché a marzo si celebra il centenario della fondazione. Era infatti il marzo 1908 quando un gruppo di dissidenti del Milan, volendo perorare la causa dei giocatori stranieri, si staccò dall'unica squadra di Milano per fondare, appunto, l'Internazionale. Si spiega anche così il perché l'Inter attuale abbia uno sproposito di calciatori stranieri in squadra. Fa parte del suo Dna.
A Riscone di Brunico viene presentato anche un altro progetto targato Inter e rivolto agli stranieri: Intercampus. Un'iniziativa tenuta quasi sottotraccia per un decennio e che coinvolge migliaia di bimbi e ragazzini sparsi nelle zone socialmente ed economicamente più disastrate del mondo. Attualmente sono 17 i paesi coinvolti, con 9000 ragazzini e 200 operatori. Artefici principali dell'operazione il presidente Massimo Moratti e il dirigente Massimo Moretti. Moretti se l'è inventata, Moratti l'ha seguito con convinzione. Subito però ci tengono a precisare una cosa: non si tratta di un'iniziativa di scouting. I ragazzini coinvolti nel progetto non sono i più bravi tra i calciatori, tantomeno si è messo in piedi il tutto per trovare nuovi talenti.
La cosa funziona così: l'Inter, con il supporto di organizzazioni locali, identifica un paese con ragazzini disagiati e dopo avere vagliato il tutto viene organizzato l'intervento vero e proprio, che può diversificarsi tra un paese e l'altro. In pratica l'Inter fornisce le ambitissime magliette, che vengono regalate, diventano di proprietà dei ragazzini, poi i palloni e gli operatori. Una sorta di scuola calcio che ha però solo l'obiettivo di socializzare e scolarizzare. Per esempio in Romania i protagonisti sono ragazzini di un orfanotrofio di Brasov. Emarginati e discriminati in un mondo non proprio radioso. Per favorire l'integrazione e lo scambio con i loro coetanei sono loro che portano pallone e magliette anche agli altri bimbi, che così li vedono con occhi completamente nuovi, mentre loro stessi si percepiscono con una diversa consapevolezza. Così avviene nelle favelas brasiliane, nella Cina rurale, nel travagliato Sud del Libano, nella devastata Colombia e così via. Con i giovani sottoposti a piccoli ricatti, perché per partecipare devono frequentare la scuola, o addirittura ottenere buoni voti. Solo due programmi non sono operativi. Uno riguardava il Kosovo, a Saranda, iniziato nel 1999 con 500 bimbi coinvolti, perché si è concluso. L'altro è invece al momento sospeso e riguarda un progetto di gemellaggio tra bimbi israeliani e coetanei palestinesi. Non esistevano più le condizioni di sicurezza per operare. Gestisce tutto una struttura leggera, composta da Moretti (che per questo ha gioiosamente rinunciato a cariche societarie apparentemente più prestigiose), Paola Amorose che amministra le risorse messe a disposizione da Moratti, Nicoletta Flutti che segue la comunicazione, Aldo Montinaro che coordina gli allenatori e Massimo Seregni che ha il compito delicato di diplomatico. Tutti accomunati da un entusiasmo contagioso.
Per documentare e fare conoscere questa attività, unica nel suo genere da parte di una squadra di calcio, l'Inter ha deciso di affidarsi a una troupe guidata da Gabriele Salvatores. Verranno mostrate le attività che si svolgono in 7-8 paesi e in due di questi le riprese sono già state effettuate: in Bosnia e in Iran.

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