VISIONI

Prince, una musica nera del tutto fuori controllo

LORRAI MARCELLO,Montreux

A mo' di marching band i fiati salgono in scena dalla platea, e che cosa intonano? Indovinato: When The Saints. Siamo in un jazz festival, e che cosa di più scontato per attaccare un concerto dell'evocazione di New Orleans, e con un brano poi che è quanto di più ritrito in fatto di jazz si possa tirar fuori? Le cose però sono un po' più complicate se l'orchestra che si dispone sul palco è quella di Prince. Il kitsch certo c'è, ma come qualcosa con cui si gioca in maniera sapiente e divertita, e nel farlo Prince ha sempre dimostrato di essere un maestro. E poi è questione di codici: e quello che che è luogo comune assoluto per noi può esserlo molto meno per lui. When The Saints, che siamo abituati ad associare ad un'interpretazione in chiave hot jazz, nasce come brano vocale, nella tradizione dei canti religiosi neri. E uno che se ne intendeva, Miles Davis, nella sua autobiografia dice che quello che rende speciale alle sue orecchie Prince è quel fondo di chiesa nera che sente nella sua musica.
Davis di Prince diceva molte altre cose: lo considerava come una specie di combinazione di James Brown, Marvin Gaye, Jimi Hendrix, Sly Stone, Little Richard, Charlie Chaplin, Michael Jackson, e come se non bastasse, udite udite, Duke Ellington. Anzi: Davis si sbilanciava a dire che Prince poteva essere il nuovo Duke Ellington della nostra epoca, se voleva. Davis pensava all'eleganza, al senso del ritmo di Prince. E chissà quanti fra quelli in cui è scattato immediatamente il riflesso condizionato When The Saints uguale «jazz» avranno colto anche la citazione dell'ellingtoniano It Don't Mean A Thing If It Ain' Got That Swing che Prince ha affidato al pianista, con le parole distorte elettronicamente, in una interpretazione di Ellington di rara e gustosa tamarraggine.
Prince la raccomandazione di Ellington l'ha tenuta tenuta ben presente, con una «swing» dei nostri giorni che in questi decenni ha avuto pochi rivali, lo «swing» che piaceva all'ultimo Miles. Se è vero che Prince sta all'oggi come il jazz di Ellington allo spirito di tempi un po' più lontani, il musicista di Minneapolis non avrebbe avuto bisogno di particolari aggiustamenti per essere degno protagonista della Surprise Jazz Night di Montreux. Ma chiamato a questo ruolo, non ha avuto difficoltà a stare al gioco e a mettersi anche su un terreno più convenzionalmente jazzistico, anche se con qualche tocco eccentrico. Come il sordo brontolio del basso elettrico, che fa tremare le budella e il pavimento dell'Auditorium Stravinski con un suono e una cadenza che non sono certo quelli di Jimmy Blanton, quando trombone, tromba e sax alto, dopo aver esposto all'unisono il tema in maniera piuttosto canonicamente jazzistica, si lanciano in robusti assoli; o le futuristiche, materiche uscite di chitarra elettrica con cui Prince irrora anche questi passaggi più jazz. E poi da un clima «jazz» passa ad un'atmosfera che se di jazz ha qualcosa è di quello visionario, assai lontano dall'ortodossia ma anche dal free, del Davis primi anni 70, con i suoi ritmi perentori e i suoni acidi. E da lì eccoci tornare indietro, con un brano dagli accenti di jazz tradizionale, e un'incedere dixieland.
Ma è venuto il momento del Prince soul, che ricorda James Brown in un bluesone lento, che trasforma in un saggio della sua sofisticata padronanza dei diversi registri della vocalità black. Poi, innestata la quarta, siamo al funky festaiolo di I Love You Baby, seguito a ruota dall'abbandono di Purple Rain, in un tripudio del pubblico. Quindi il piano stende un tappeto romantico su cui Prince si distende con il suo birignao bisex, con la compagnia del sax in piena erezione lirico-funky. In dirittura d'arrivo, verso le due ore di concerto, Prince pigia sul funky, e sugli hit. «Volete qualcosa di vecchio o di nuovo ? Ok, qualcosa di vecchio e qualcosa di nuovo !». E il nuovo è Guitar, uno dei pezzi portanti del nuovo album Planeth Earth, impreziosito da un assolone allo strumento che nella canzone contende alla baby di turno l'amore di lui. C'è ancora spazio per qualche bis, fra cui Come Together, di quei Beatles che Prince ha metabolizzato come pochi altri: già, nel suo elenco Miles aveva dimenticato qualcuno...

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