INTERNAZIONALE

Etiopia, il premier Zenawi sorride Carcere a vita per gli oppositori

MANFREDI EMILIO,Addis Abeba

Eshetu maneggia veloce il coltello nel retro di un piccolo ristorante che cucina carne a Kaliti, alla periferia della capitale etiope, Addis Abeba. Si ferma un attimo e guarda fuori dalla finestra: ogni dieci metri, poliziotti armati fino ai denti pattugliano la strada in una fine di mattinata uggiosa, a tratti spazzata da una pesante pioggia.
Poco più in là, in un ex-cinema riattato, si è appena conclusa l'udienza finale del processo contro i leader dell'opposizione etiope, in galera ormai dal novembre del 2005. 38 persone, una parte fondamentale dell'intellighentia etiope, sono stati accusati di aver tentato di sovvertire con la forza l'ordine costituzionale, incitando la popolazione alla violenza durante i disordini seguiti alle elezioni generali del maggio 2005. Per questi reati, l'accusa ha chiesto la condanna a morte. Una richiesta esagerata, se comparata alla realtà dei fatti: anzitutto la protesta nasceva dall'irregolarità dell'esito delle elezioni (secondo gli osservatori dell'Unione Europea, il voto fu «assolutamente irregolare»); inoltre, negli scontri tra popolazione e reparti speciali dell'esercito, ad avere decisamente la peggio fu la gente disarmata, uccisa a colpi di armi da fuoco mentre, al massimo, lanciava pietre.
«Allora, come è andata? Li hanno liberati?», chiede il cuoco, approfittando della presenza di un gruppo di cronisti locali entrati per ripararsi dal freddo. «No. Li hanno condannati all'ergastolo». Dopo mesi di attesa, il giudice Adil Amhed ieri ha letto la sentenza, che riguarda 35 degli accusati: «Questi uomini hanno commesso seri crimini, che hanno portato alla morte di civili e di uomini delle forze di sicurezza, e hanno cercato di rovesciare il governo. Gli accusati hanno inoltre rifiutato di presentare prove a loro discarico. Ma, secondo il Codice penale etiope, per una condanna a morte bisogna che il reato sia portato a compimento, non solo tentato. Per questa ragione, condanniamo gli imputati al carcere na vita». Inoltre, a tutti i condannati è stata interdetta a vita la possibilità di votare e soprattutto di candiderai alle elezioni in Etiopia.
Finisce così un altro atto di questa lunga vicenda politico-giudiziaria che continua a scuotere l'opinione pubblica nel grande Paese del Corno d'Africa. «Ma ora comincerà una nuova fase di questa saga, e vedremo cosa farà il governo e la Comunità internazionale», ha dichiarato al manifesto un parente dei condannati. Subito, è arrivata la condanna della sentenza da parte di Ana Gomes, che due anni fa era a capo della commissione dell'Ue che ha seguito le elezioni: «Questa decisione è farsesca e inumana. L'unico crimine di questi uomini è stato di aver espresso le proprie opinioni liberamente durante le elezioni, che sarebbero dovute essere democratiche. L'Unione Europea si deve spendere per il loro rilascio».
Arrivata la sentenza, ora si aprirà certamente un tentativo della Comunità internazionale (anche degli Usa, grande sponsor del governo del Primo Ministro Meles Zenawi) per giungere a una soluzione politica e abbassare la tensione nel Paese. Con in mano le chiavi della galera, Zenawi si gode il suo successo e si prepara a presentare il conto per liberare gli oppositori: cosa chiederà questa volta alla Comunità internazionale?

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