INTERNAZIONALE

Corrotto: la Cina fucila il suo «uomo-qualità»

PIERANNI SIMONEPechino

Zheng Xiaoyu è stato giustiziato ieri a Pechino. 63 anni, nato a Fuzhou, nel Fujian, laureato in biologia alla Fudan University e iscritto al partito comunista dal 1979, è stato il capo della «Food & drug administration» cinese dal 1998 al 2005. Era stato condannato a morte alla fine di maggio. L'accusa era di avere intascato tangenti per una cifra pari a 850mila dollari circa, in cambio di un'approvazione senza gli adeguati controlli, tappandosi bocca naso e occhi, di sei diverse medicine, tra le quali un antibiotico che avrebbe causato la morte almeno di 10 persone, secondo le fonti giornalistiche e governative cinesi, 13 bambini a parere di osservatori occidentali.
Zheng Xiaoyu, che godeva del rango di ministro, non proprio l'ultimo dei comunisti cinesi, in appello ha provato a difendersi chiedendo di rivedere il verdetto. La Corte suprema del popolo, lo scorso 22 giugno, ha respinto le sue richieste confermando la sentenza per il «grave danno inflitto al popolo e al paese». Giustiziato nel giorno in cui a Palermo, per guardarci in casa, la Coldiretti protesta contro le marche cinesi contraffatte. Per i cinesi invece poco importa: il risultato da portare a casa è che il governo c'è, punisce i colpevoli e difende il popolo e il suo lavoro agli occhi del mondo.
La società armoniosa è attenta a tutto: ai simboli, da quando ancora non lo era, al tempismo di alcune iniziative, all'interesse nazionale e al suo decantato progresso economico, sempre. Lieve e confortevole agisce a ondate, di cui di volta in volta fanno le spese funzionari di alto rango come era Zheng Xiaoyu. Il destino di ognuno è appeso sia alle correnti di partito che alle anomalie relazionali delle autorità amministrative di ogni singola città, protese tra meritocrazia spiccia e necessità di arrotondare anche durante la seconda fatale ventata di boom economico. E Pechino, in quel senso, brucia, come l'asfalto e i cantieri in attesa delle olimpiadi del prossimo anno.
Zheng Xiaoyu diventa un nuovo simbolo, a doppio taglio: per i cinesi, ma anche per il mondo occidentale nella sua totalità, non solo per i mei guó, gli americani, così suscettibili su argomenti quali contraffazione, pirateria e proprietà intellettuale. Non è un caso che proprio dopo l'ennesimo scandalo di prodotti cinesi contraffatti, il Colgate nostrano, le autorità decidano di denunciare da un lato la necessità di provvedere a controlli più serrati e alla qualità della propria produzione, dall'altro a dare l'esempio di integrità condannando a morte proprio l'uomo che personificava tali negligenze. Corruzione è la giustificazione tattica. Mettere le mani avanti, bloccare ogni possibile instabilità sociale, fornire segnali inequivocabili al resto del mondo è la strategia.
Una strategia che ha la propria applicazione anche all'interno del territorio cinese, da terra di bassi costi ora anche mercato che appare infinito. Piccoli white collars crescono, e con loro il potere di acquisto dello yuan, la moneta locale. Siamo la fabbrica del mondo, sussurra un businessman cinese, se miglioriamo in qualità non ce ne sarà per nessuno, e il nostro mercato è un test che non possiamo fallire. Dopo l'Apertura di Deng, sembra affievolirsi il periodo della cuccagna per le società straniere. Da tempo il governo cinese le tiene d'occhio, lanciando con motti e sovvenzioni marche e prodotti locali. I brand stranieri hanno appeal per i consumatori cinesi, come dimostra una ricerca del China National Commercial Information Centre, europei e americani ci sguazzano. E allora interviene il governo. A marzo alcuni intraprendenti giornalisti del New Express si sono fatti assumere part time dai locali McDonald e Kentucky Fried Chicken. Avendo piena libertà a tirare fuori le magagne dei dollaroni stranieri, hanno scatenato il putiferio: le paghe erano sotto il minimo stabilito dalla legge, gli orari lunghi, gli stipendi da fame nera - tra i 4 e i 6 yuan all'ora, circa 50 centesimi di euro. McScandal, titolarono i giornali cinesi.
Anche per la francese Danone il mercato cinese sta cominciando a diventare ostico, qualcuno giura sia finito il suo tempo in Cina: a maggio le bottiglie d'acqua Evian sono state bloccate per controlli sanitari. Ma ancora più clamorosa è la vicenda legale che la vede protagonista la Cina contro la Wahaha, ovvero la società cinese della Danone. Un controsenso, retto dall'accusa nei confronti della società cinese di vendere succhi e prodotti uguali a quelli della Danone. Altre grosse multinazionali, rispetto a questa nuova ondata di scetticismo o di bastoni tra le ruote, si muovono in maniera decisamente diversa e prendono le precauzioni necessarie. In Cina si chiamano come in Italia, guanxi, i ganci: basta inserire nel board una società governativa cinese e non si avranno problemi. Almeno finché non cambierà l'aria.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it