La recente fusione tra Aem e Asm suggerisce una riflessione sulle politiche di liberalizzazione e ridimensionamento delle utilities, per esempio dell'Enel: fenomeni che hanno origini lontane e riferibili al primo governo di centrosinistra e che hanno trovato un vincolo inatteso. In un certo senso l'eccesso di apertura del mercato nei settori energetici, monopoli naturali e tecnici, ha trovato un limite nel mercato stesso, e più precisamente nella dimensione e nella struttura del sistema delle imprese operanti nel settore. Evidentemente i fallimenti del mercato hanno preso il sopravvento. La realtà è più dura delle intenzioni. Alcune attività e servizi non possono essere aperte al mercato per ragioni tecniche, oltre che sociali. Se l'obiettivo delle liberalizzazioni era quello di creare il mercato per legge, è fallito. Non a caso la fusione tra Aem e Asm, cioè la creazione di un oligopolio che attraversa da nord a sud la Lombardia, ossia un tipico fallimento del mercato, è stato accolto positivamente proprio dai ministri iperliberisti: il primo sostiene che l'aggregazione consente di «fare massa critica e di offrire quindi servizi migliori ai cittadini», la seconda «è un esempio di consolidamento che andrebbe seguito in altre parti d'Italia».
L'esito era in realtà prevedibile e per alcuni versi auspicabile. Infatti, la frammentazione del mercato determinato dalla liberalizzazione del mercato energetico, tra l'altro in assenza di una adeguata programmazione, ha fatto lievitare i costi marginali fissi e per questa via impedito di abbassare il prezzo finale dell'energia per i consumatori, se non nella misura degli adeguamenti tecnologici intervenuti in questi anni. Non deve sorprendere che il costo dell'energia in Italia sia più alto della media europea. Così come esistono le economie di scala, allo stesso modo esistono le diseconomie di scala. Non a caso le imprese locali, dopo l'iniziale beneficio dovuto alla contrazione (per legge) del mercato energetico dell'Enel (ben al di sotto del 50% del mercato nazionale), hanno avviato dei progetti di aggregazione che in qualche modo intervenissero sugli alti costi fissi marginali in ragione delle ridotte dimensioni di scala. Da un lato Enel tenta di recuperare economie di scala attraverso alleanze estere (Spagna), dall'altro società come Aem e Asm cercano di assumere dimensioni adeguate per assumere un ruolo nel consesso nazionale e internazionale.
Se questi sono i risultati della liberalizzazione del mercato elettrico, qual è il significato dell'aggregazione Aem-Asm? Un interrogativo che troverà una risposta attraverso il piano industriale. Nel frattempo le notizie di carattere finanziario e societario informano che il nuovo gruppo, che si chiamerà Assem, può contare su un fatturato di 9,4 miliardi di euro e una redditività del capitale di 1,8. In termini di capitalizzazione (8.822 milioni di euro) si colloca al terzo posto, alle spalle di Enel e Edison. Oltre alle partecipazioni in Edipower e Endesa Italia e attraverso Delmi di Edison.
È difficile valutare l'operazione nella sua interezza, ma la struttura e la dimensione della nuova società, in particolare per il modello aggregativo sin qui perseguito, fondato sulla costituzione di un centro aggregante (Milano-Brescia) con obiettivi di espansione verso la periferia (un pezzo di Emilia, il nord Lombardia) e l'individuazione di aree (Como) che facciano da ponte verso altri paesi europei (Svizzera), dovrebbe suggerire più attenzione circa la possibilità-capacità di condizionare lo sviluppo della stessa. Come si può prefigurare una azione pubblica in cui la pluralità dei territori coinvolti e le nuove traiettorie tecnologiche possono seriamente disegnare più orizzonti alternativi?
Per questo motivo occorre una politica economica all'altezza. Se per politica economica intendiamo l'insieme degli interventi con i quali le autorità pubbliche indirizzano il sistema economico verso la realizzazione di determinati obiettivi, in campo energetico occorre passare attraverso la definizione di questi obiettivi e la conseguente individuazione degli interventi. Uno degli obiettivi è legato alla modalità di generazione dell'energia elettrica. Occorre considerare che il settore sarà investito da un mutamento del paradigma tecnologico, e la presenza pubblica, attraverso i propri centri di ricerca, è indispensabile. La ricerca inciderà sempre di più sul valore aggiunto del settore, almeno nella misura intervenuta a livello aggregato nel settore manifatturiero. Infatti, la quota di commercio internazionale in ricerca e sviluppo è passato dal 15% al 40% nel corso di soli 15 anni.
Chi governa e indirizza la ricerca? Per questo non bastano i semplici finanziamenti, previsti nella Finanziaria 2007, per l'acquisto di pannelli solari, serve una forte ricerca pubblica tesa a generare innovazione. E' molto più utile, infatti, intervenire a monte dei processi produttivi, ovvero sul piano della generazione delle tecnologie, sostenendo l'attività di centri di ricerca pubblici e sostenendo le società pubbliche che intendo innovare sul piano della tecnologia. Questa potrebbe essere la vera sfida democratica, unitamente alla necessità di costruire un intervento pubblico plurale, purtroppo tutto da indagare.