VISIONI

Geometrie volatili

LORRAI MARCELLO,Bolzano

«Siamo riusciti a fare in tre giorni quello che a Chicago ci sarebbero voluti tre mesi: perché non vi trasferite a Chicago?». Entusiasta dell'opportunità che gli è stata offerta dal Südtirol Jazz Festival Altoadige di lavorare con l'Italian Instabile Orchestra, Anthony Braxton concede volentieri all'iperbole e non lesina lusinghieri commenti: è colpito dalla motivazione, dalla perizia strumentale e competenza esecutiva, dalla qualità come improvvisatori e dalla capacità di dare colore alla musica dei componenti della formazione (di cui è giusto richiamare tutti i nomi: Carlo Actis Dato, Daniele Cavallanti, Eugenio Colombo, Gianluigi Trovesi, ance, Emanuele Parrini, violino, Paolo Damiani, violoncello, Giovanni Maier, contrabbasso, Alberto Mandarini, Guido Mazzon, Pino Minafra, trombe, Martin Mayes, corno, Umberto Petrin, piano, Lauro Rossi, Giancarlo Schiaffini, Sebi Tramontana, tromboni, Vincenzo Mazzone, Tiziano Tononi, percussioni: quasi tutti veterani della formazione). «Se ci saranno altre occasioni - e Braxton interrompe un attimo la prova per dare forma con la sua calorosa gestualità all'idea che accarezza - sarebbe bello avere non solo me come direttore, ma per esempio tre direttori in contemporanea, con scambi e avvicendamenti fra musicisti e direttori, e schermi video che focalizzino dei momenti dell'esecuzione: per esempio quando Pino prende un assolo...», e Braxton mima la tromba di Minafra: a testimonianza della cordialità del suo approccio ma anche del clima che si è stabilito con l'orchestra (oltre che della sua consumata esperienza di didatta), nel giro di poco l'alfiere del post-free chicagoano ha cominciato a chiamare tutti col nome di battesimo. L'entusiasmo e i commenti lusinghieri sono reciproci: dopo avere negli anni scorsi lavorato in tre occasioni diverse (Ruvo di Puglia, Parigi, Sant'Anna Arresi) con Cecil Taylor, l'Instabile avrebbe potuto sostenere il confronto con chiunque. Gli incontri con il pianista sono stati emozionanti, ma certo non privi di aspetti problematici: con Braxton l'intesa invece è stata immediata e agevole. Dove con Taylor le indicazioni erano spesso ermetiche e l'elaborazione della performance sconfinava nel percorso iniziatico, con Braxton, preciso nelle sue richieste ma anche estremamente rilassato, tutto fila liscio con continua gratificazione da entrambe le parti.
Braxton si è presentato a Bolzano con quattro partiture, una risalente probabilmente all'epoca della sua Creative Music Orchestra degli anni settanta, le altre presumibilmente più recenti, fuse nell'interazione con l'Instabile in un'unica composizione di un'ora abbondante: che non senza momenti ritmicamente e stilisticamente più esplicitamente jazzistici, dal vivo si è tradotta in un insieme in cui riecheggiano stilemi della musica classica contemporanea, ma proposti, con passaggi di improvvisazione collettiva e ampio spazio ad uscite solistiche spesso di notevole originalità, con una vivacità, una spontaneità, una mancanza di sussiego che rivelano da un lato la disinvolta padronanza di diversi linguaggi dei musicisti dell'Instabile e dall'altro la logica afroamericana con cui Braxton maneggia anche forme esteriormente imparentate con quelle accademiche: e da compositore-direttore non accademico prende qua e là il sax alto o il sopranino per inserirsi improvvisando degli interventi. «Il materiale compositivo portato da Braxton era preesistente - dice Paolo Damiani - ma l'orchestra ha potuto vivere un'esperienza di straordinario livello nel vedere come Braxton ne ha fatto con noi una cosa nuova, dicendoci in questo modo cose importantissime sul rapporto tra improvvisazione e composizione: suonando in questo lavoro ho impressione di improvvisare in continuazione, anche quando in realtà sto leggendo la musica».
Nel 1992 Bolzano, allora si chiamava ancora Jazz Summer, fu il primo festival italiano ad invitare l'Italian Instabile Orchestra, che era nata due anni prima, nel 1990, al festival pugliese di Noci. C'è da rallegrarsi che dopo un quarto di secolo di onorato servizio, sempre animata artisticamente dal generoso Nicola Ciardi, la rassegna non abbia però perso per strada la sua ispirazione originaria e abbia ancora voglia di impegnarsi in proposte non banali come il lavoro comune di Braxton e dell'Instabile. C'è semmai da dolersi che dal '92 ad oggi, mentre i festival jazz balneari sono proliferati, la situazione della programmazione jazzistica non sia affatto migliorata, anzi, e che per un'esperienza come l'Instabile, un festival come quello di Bolzano rimanga un caso più unico che raro di interlocutore sensibile. Tononi sintetizza efficacemente la situazione di una formazione che in paesi come la Francia o l'Austria sarebbe coccolatissima: «il livello dell'orchestra (che, aggiungiamo noi, è stato fin dall'inizio molto alto) è progressivamente cresciuto negli anni: mentre le occasioni di farci ascoltare sono drasticamente diminuite». Intanto per i musicisti dell'Instabile la collaborazione con Braxton è una bella iniezione di fiducia: assieme all'uscita di London Hymns. Italian Instabile Orchestra Live at London Jazz Festival (Imprint), un cd ricavato da un'esibizione oltre Manica che aveva celebrato il quindicesimo compleanno della formazione.

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