POLITICA & SOCIETÀ

Povera, piccola Italia del welfare

MARINI MATTEO,

Non solo Pil. E' questa la richiesta che emerge dall'analisi del XVI rapporto annuale Spi-Cer: «Indicatori di benessere e politiche sociali. Modelli a confronto» presentato ieri a Roma, e dedicato all'analisi della povertà in Europa. Non solo Pil perché si vuole evitare di prendere il prodotto interno lordo come elemento primo per determinare la qualità della vita. In due parole: anche se la matematica non è un'opinione, la fame il freddo e la sporcizia non sono uno scherzo.
Il Centro Europa ricerche e il sindacato pensionati italiani hanno preso in esame i paesi dell'Unione europea, usando la lente di economisti e sociologi. Nella fotografia che ne esce l'Italia non fa una bella figura. L'11% delle famiglie italiane vive sotto la soglia della povertà, con punte che nel Sud arrivano al 25%. Il dato preoccupa ancora di più se si considera che le famiglie agli ultimi posti devono sopravvivere con appena 5.000 euro l'anno. Una cifra inferiore alla soglia di sussistenza anche per paesi con un reddito pro-capite più basso del nostro, come Grecia, Spagna e Portogallo.
L'analisi proposta dal rapporto viene definita «multidimensionale», e deriva da dati economici sulla crescita incrociati con quelli più «pratici» e vicini alla realtà. Un'analisi effettuata attraverso indicatori di povertà tra i quali la «privazione primaria» (cioè l'incapacità di soddisfare bisogni come riscaldare la casa, poter fare un periodo di vacanza, comprarsi vestiti nuovi o mangiare carne o pesce e pagare le bollette), «privazione secondaria», igiene e problemi ambientali. Per quanto riguarda la «privazione primaria», il dato più grave, l'Italia ha una media superiore a quella europea(il che non è un bene) che in più tende a mantenersi nel tempo. Peggio di noi solo Spagna, Grecia e Portogallo, le più virtuose sono le nazioni del nord Europa. E proprio i paesi scandinavi sono indicati come modello, in base ai risultati superiori «dove innovazione, economia della conoscenza e istituti avanzati di welfare convivono felicemente».
Nel nostro paese sono notevoli le fratture dovute alla forbice di distribuzione del reddito tra le regioni del nord e quelle del centro-sud, con forti penalizzazioni per chi non ha lavoro, per i parasubordinati, e per chi ha un basso livello di istruzione. Il rapporto dà l'immagine di un paese con evidenti squilibri interni, e nel quale una grossa fetta della popolazione è a rischio povertà: «La vulnerabilità dei cittadini sembra essere in Italia più accentuata che altrove - si legge - significando con ciò la presenza di un maggiore rischio di perdere il livello di benessere raggiunto, a causa di un evento sfavorevole, quale la perdita del posto di lavoro o l'insorgere di una malattia». Una situazione nella quale le politiche sociali danno poche garanzie e «la famiglia protegge di più del sistema di welfare».
Nella classifica dei 24 paesi presi in esame, in base all'analisi di reddito pro-capite, l'Italia è al 14esimo posto, ma se il confronto viene fatto in base alle sole politiche sociali, precipita al penultimo: «Sono le politiche di un Paese che fanno la differenza tra uno Stato sociale coeso e solidale ed un altro di tipo residuale o compassionevole - spiega Betty Leone, segretario generale dello Spi-Cgil - per questo l'indice di ricchezza finora utilizzato deve essere modificato affinché comprenda il benessere delle persone, che non si fonda soltanto sul possesso di beni materiali, ma anche di quelli immateriali, come l'accesso ai servizi sociali».

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it