Milan Martic, l'ex presidente della Krajina, l'autoproclamata repubblica dei serbi di Croazia (dopo che, nel 1990, avvenne l'autoproclamazione d'indipendenza della Croazia su base etnica come «patria dei croati», in modo scellerato riconosciuta subito da Germania e Vaticano) è stato condannato ieri dal Tribunale internazionale (Tpi) per l'ex Jugoslavia a 35 anni di reclusione. L'accusa aveva chiesto l'ergastolo. Martic, 62 anni, consegnatosi al Tpi nel 2002, era accusato di avere ordinato nel maggio 1995 il bombardamento di Zagabria per ritorsione dopo l'aggressione dell'esercito croato contro la Krajna. Il bombardamento di Zagabria provocò la morte di sette civili. L'«operazione Tempesta» di Zagabria, coordinata dai consiglieri militari della Nato e degli Usa, provocò migliaia di morti. Martic si è sempre dichiarato innocente.
La vita di Milan Martic è stata segnata dalla nascita, nel 1954, in un villaggio presso Knin dove nella Seconda guerra mondiale gli ustascia - i nazifascisti croati alleati di Hitler e Mussolini - compirono una strage sterminando quasi tutta la popolazione, tra i pochi superstiti il padre e la madre. Dopo essere stato perfino operaio, entrò in polizia, fino a distinguersi fra coloro che avversavano il separatismo croato che nell'anno 1990 portò alla secessione della Croazia dalla Federazione jugoslava e cominciarono i conflitti. Fu contattato allora dal ministro della polizia della Serbia e divenne l'uomo di Milosevic nella Krajina. Fu lui a proclamare la nascita della regione autonoma e poi la secessione dalla Croazia perché, come disse allora non voleva che si ripetessero i massacri degli ustascia - massicciamente presenti nel governo provvisorio di Tudjman. Già l'offensiva croata «Lampo», che fece 600 vittime, riconquistò dal 31 aprile al 1 maggio 1995 la Slavonia orientale. Poi, nella notte fra 4 e 5 agosto del 1995 insieme alla famiglia Martic fuggì da Knin e dalla Krajna mentre le sue truppe resistettero per qualche giorno all'assalto delle milizie di Tudjman e misero la regione a ferro e fuoco. Martic si rifugiò prima a Bania Luka e poi a Belgrado, qui, dopo l'accordo di collaborazione fra Belgrado e l'Aja gli fu consigliato di presentarsi spontaneamente al Tpi e così fece. Tra le imputazioni, c'era quella del bombardamento sul centro di Zagabria dove il 3 maggio 1995 cadde una pioggia di granate dell'artiglieria della Krajna. Su questo Martic dichiarò che non fu sua la decisione ma di Milosevic, e questo come ritorsione per il massacro compiuto dagli artiglieri croati due giorni prima, il 1 maggio, contro i fuggiaschi serbi sulla camionabile che dalla Slavonia porta a Belgrado.
La strage concluse l'operazione «Lampo» di Tudjman che portò alla totale cacciata dei serbi dalla Slavonia. Poi, tre mesi dopo con l'operazione Tempesta progettata da Tudjman con i servizi segreti Usa fu ripulita dai serbi anche la Krajna: 300mila civili cacciati da una terra che abitavano da 400 anni e che poi fu completamente rasa al suolo. Ecco la «cornice» della condanna a 35 anni di Martic all'Aja.