Quando è morta, nell'ottobre del 1963, senza ancora avere compiuto 48 anni, Edith Piaf sembrava molto più vecchia della sua età. Uno scricciolo dai capelli radi, asciutta, quasi deformata dall'artrite e dai mille impicci di salute. Segni di una vita vissuta intensamente e marchiata dagli eventi. Nata durante la prima guerra mondiale, babbo al fronte, mamma distratta, sballottata ovunque, allevata nel bordello della nonna, coccolata dalle prostitute, cieca per qualche anno durante l'infanzia, graziata da santa Teresa di Lisieux, in giro col babbo saltimbanco, a cantare elemosinando per la strada, un figlio inaspettato e per mantenerlo si prostituisce. Ma il figlio muore, poi il successo, planetario, gli amori intensi (Crolla, Montand, il pugile Cerdan, che schiatta in un incidente aereo quando sta per raggiungerla). Un melodramma a forti tinte, condite da una colonna sonora inarrivabile. Insomma, il materiale per un biopic indimenticabile c'era tutto, forse anche troppo. Olivier Dahan, ex regista di videoclip passato al cinema, ne è stato travolto. Il suo racconto zompa avanti e indietro nel tempo, elimina molti spunti interessanti (la seconda guerra mondiale, i nazisti soprattutto) si affida a Marion Cotillard, attrice francese in ascesa (era in Un'ottima annata) e la nasconde necessariamente sotto un trucco spaventoso.
Edith Giovanna Gassion diventa la môme, la marmocchia, poi Louis Leplée (Depardieu) la ribattezza Piaf, il passerotto nell'argot parigino. Nonostante l'aspetto la sua voce è possente, arriva dritta all'anima, le sue canzoni sono epocali (tra le altre: La vie en rose, Milord, Hymne a l'amour e No, je ne regrette rien, destinata a fare spuntare inevitabili lacrime). Nonostante i mezzi a disposizione il film è come inceppato, certo, arriva anche a commuovere, ma non per meriti cinematografici, semplicemente la storia è più prepotente della sua rappresentazione. Che punta molto sulle somiglianze (appare anche un'insopportabile sosia di Marlene Dietrich), su inutili location americane, a dispetto dello spessore e della carica contraddittoria di un personaggio troppo grande (ma alta un metro e quarantadue) capace di sedurre e affascinare chiunque entrasse in contatto con lei. La vie en rose è rappresentazione come ovvio, ma la vita della Piaf è ridotta a teatro, con tanto di sipario rosso e scenografie rigorosamente navigabili sul sito internet. Una vita di sesso, droga e rock'n'roll (dei suoi tempi) trasformata in altro da sé e vista così destinata a lasciare diversi rimpianti.