LETTERE

Rifondazione da comunista a socialista? No, grazie

l'intervento
GIANNINI FOSCO,

Le recenti affermazioni di Fausto Bertinotti e Franco Giordano relative alla costruzione di un nuovo soggetto, di un nuovo partito politico «di sinistra»; le reiterate sortite di Alfonso Gianni ancor più chiaramente volte al «superamento di Rifondazione Comunista»; gli «affondo» sempre più chiari di Pietro Folena diretti alla costruzione di una nuova forza di sinistra attraverso una «cessione di sovranità» da parte del Prc; lo stesso spirito che ha segnato la Conferenza di organizzazione nazionale di Rifondazione chiusasi in questi giorni a Carrara: tutto rende sempre più verosimile il processo di trasformazione di Rifondazione comunista in Rifondazione socialista, processo che sembra già contare sul probabilissimo abbraccio con la sinistra Ds in libera uscita dal Partito democratico come acceleratore e sulla Sinistra europea che si costituirà a giugno come cavallo di Troia.
Alla trasformazione del nostro partito in Rifondazione socialista dichiariamo la nostra totale contrarietà. Forse perché, come dicono alcune caricature delle nostre posizioni, saremmo contrari all'unità della sinistra d'alternativa? Tutt'altro: anzi - potremmo dire - proprio perché siamo per questa unità.
Molte sono le questioni che sorreggono la nostra tesi contraria alla Rifondazione socialista, questioni corpose che siamo costretti qui ad esporre in pillole.
Primo: il Prc nasce - in controtendenza - nella fase più alta della crisi del movimento comunista, antimperialista e rivoluzionario a livello internazionale, nella fase in cui Fukujama «ratifica» - a nome del capitalismo mondiale - la «fine della storia», cioè la vittoria eterna del capitale e «la fine dell'illusione del socialismo». Non si capirebbe proprio perché, nato coraggiosamente in questa fase oscura - il Prc dovrebbe sciogliersi quindici anni dopo, nella fase in cui, persino inaspettatamente, pulsioni antimperialiste cambiano i rapporti di forza nel mondo, dall'America Latina, all'Africa, all'Eurasia e la transizione al socialismo prende corpo - in forme nuove dal passato e tra loro diverse - in aree significative del mondo e lo stesso potere anticapitalista e socialista si costruisce concretamente - in forme di profonda partecipazione popolare tendenti a superare le degenerazioni del «socialismo realizzato» - in paesi come il Venezuela.
Secondo: nonostante il mutato quadro internazionale - dal sogno capitalista della «fine della storia» successivo alla caduta dell'Urss - alla liberazione di immense aree del mondo (come l'America Latina), la fase è ancora e drammaticamente segnata sia dall'egemonia dell'imperialismo di guerra americano - la guerra «infinita e permanente» estesa concretamente su tutti i fronti del mondo - che da una durissima competizione globale tra poli capitalistici mondiali volta alla conquista dei mercati attraverso un abbattimento delle costo delle merci che vede come unica via l'abbattimento dei salari, dei diritti e dello stato sociale su scala internazionale.
E' da questo punto di vista - oltre che per ragioni strategiche - che l'autonomia comunista ha, oggi più che mai, ragione di essere: per ragioni sociali.
Terzo: il progetto di Rifondazione comunista è stato e rimane, nel contempo, ambizioso e necessario. Nessun termine, come comunista, ci dice della necessità del superamento del capitalismo; nessun termine, come rifondazione, ci dice della necessità di riattualizzare un pensiero ed una prassi rivoluzionari a partire dall'analisi severa e senza sconti (ma non liquidazionista, come spesso è apparsa quella bertinottiana, caratterizzatasi soprattutto per una pars destruens priva di pars costruens e dunque, per molti versi, anticipatrice del superamento comunista) del «socialismo realizzato» e - soprattutto - a partire dall'analisi scientifica delle attuali contraddizioni capitalistiche e dalla centralità del conflitto sociale e di classe, senza la quale si rischia - come oggi il Prc rischia- di scivolare nel governismo.
Ma è del tutto evidente che per tale progetto - ridefinizioine della teoria e della prassi, conduzione del conflitto sociale - occorra, prioritariamente, una piena autonomia politica, culturale, organizzativa, persino economica, senza la quale il progetto è vanificato in partenza.
Quando Folena parla - chiaramente - di «cessione di sovranità» in verità indica un modello per il quale l'unità di sinistra passa attraverso la rinuncia alla autonomia comunista e, dunque, al progetto strategico di rifondazione comunista. A favore, è del tutto evidente, di un disegno neosocialdmocratico.
Quarta questione: saremmo, noi favorevoli allo sviluppo del progetto rifondativo, contrari all'unità della sinistra d'alternativa? Assolutamente no: noi siamo favorevoli! Il punto è che la lunga storia del movimento operaio ci ha insegnato che le precipitazioni organizzativistiche e culturali, la soluzione dei problemi attraverso le frettolose sommatorie di forze diverse, specie quando tali sommatorie costringono i soggetti contraenti a comprimere e rimuovere la loro cultura e il loro senso d'esistere, hanno sempre portato male.
Mentre oggi abbiamo bisogno come il pane di una sinistra d'alternativa - non, dunque, di una unificazione socialdemocratica - che sappia trovare sul campo, nel conflitto sociale e politico, nel progetto di trasformazione sociale, nel rapporto vivificante con i movimenti, la propria unità, che tanto più sarà possibile ed efficace quanto più sarà rispettosa dell'autonomia dei soggetti ed eviterà la pericolosa gabbia della «riduzione ad uno».
*senatore Prc, direttore de l'Ernesto

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