INTERNAZIONALE

Etiopia, assalto al petrolio cinese

Guerriglieri del Fronte di liberazione dell'Ogaden attaccano un impianto. 74 morti, tra cui 9 tecnici di Pechino
MANFREDI EMILIO,Addis Abeba

Sessantacinque etiopi e nove cinesi sono morti ieri nella remota regione etiope dell'Ogaden, al confine con la Somalia, dove la quasi totalità della popolazione è di etnia somala. Un numeroso gruppo di uomini armati - si parla di circa 200 - ha attaccato, nei pressi di Abole (a circa 120 chilometri dalla capitale regionale Jijjiga) un campo di esplorazione petrolifero gestito dalla Zhongyuan Petroleum Exploration Bureau, una società del gruppo cinese China Petroleum and Chemical Corporation, meglio nota come Sinopec. Dopo un conflitto a fuoco durato una cinquantina di minuti tra i militari che proteggevano il sito e i ribelli, questi ultimi hanno avuto la meglio, distruggendo l'installazione e rapendo altri sette lavoratori cinesi.
L'attacco è stato rivendicato, nel tardo pomeriggio di ieri, dal portavoce del Fronte nazionale di liberazione dell'Ogaden (Onlf), un gruppo separatista che opera da anni nella regione. «I soldati di Addis Abeba stanno costringendo molte tribù nomadi della nostra regione ad abbandonare le loro aree di pascolo tradizionale», ha dichiarato il portavoce Abdirahaman Amdhi. «Abbiamo più volte avvertito il governo cinese e quello etiopico sul fatto che non avevano nessun diritto a trivellare quelle zone. Sfortunatamente nessuno ci ha dato ascolto. Siamo dunque dovuti intervenire per difendere la nostra integrità territoriale. I rapiti saranno trattati umanamente sinché saranno sotto la nostra protezione», ha concluso Amdhi.
Sempre in serata, il premier Meles Zenawi ha definito l'accaduto «un massacro a sangue freddo», promettendo di «perseguire i colpevoli a di fare in modo che nulla del genere si ripeta mai più». Zenawi non si è voluto sbilanciare sugli eventuali colpevoli dell'attacco, affermando semplicemente «stiamo investigando».
Un'importante personalità del governo etiope, Bereket Simon, consigliere speciale del premier, non si è limitato ad accusare l'Onlf, ma ha aggiunto che è il governo eritreo a supportare queste azioni. «Il nostro esercito sta inseguendo questi banditi. Li scoveremo e li cattureremo vivi o morti», ha concluso Simon.
I fatti di ieri riportano l'attenzione sull'Ogaden, una regione dell'Etiopia sudorientale a lungo contesa tra Addis Abeba e Mogadiscio, che a riguardo si combatterono una feroce guerra di trincea alla fine degli anni '70. In quest'area vivono circa 4 milioni di persone, al 99% di etnia somala, in condizioni durissime, a causa della aridità del suolo, delle ripetute siccità seguite spesso da inondazioni (l'ultima solo alcuni mesi fa), ma anche dalla totale mancanza di infrastrutture e di aiuti da parte del governo centrale. È proprio su questa «dimenticanza» di Addis Abeba che si fonda la rabbia degli abitanti della «Somali region» etiopica, che, sebbene nella maggior parte dei casi non entrano a far parte delle fila dei ribelli, ne appoggiano sempre le rivendicazioni di fondo.
L'Onlf da anni conduce una guerra a bassa intensità nell'area, chiedendone l'indipendenza. Mesi fa, prima dell'attacco etiope in Somalia, l'Ogaden era stata al centro di una dura battaglia verbale tra il governo etiope e l'Unione delle Corti Islamiche somale, che ne rivendicavano l'appartenenza appunto alla Somalia.
Già lo scorso anno, l'Onlf aveva avvertito che qualsiasi investimento effettuato nell'Ogaden di cui avesse beneficiato il governo centrale non sarebbe stato tollerato. Il governo etiope aveva già più volte accusato l'Onlf di attentati terroristici avvenuti nella capitale regionale Jijjiga e ad Addis Abeba, nonché di prendere parte ai combattimenti in Somalia contro le truppe etiopi al fianco dei ribelli legati alle corti islamiche e al clan Hawiye. Ma si tratta della prima volta che il gruppo separatista attacca un'installazione petrolifera, per di più gestita da una compagnia straniera.
Dunque, un altro fronte aperto per il premier Zenawi, già impegnato militarmente in Somalia nella campagna per «aiutare il governo di transizione somalo a ripulire il paese dai terroristi», e a aggredire verbalmente (almeno per ora) l'Eritrea, ormai ogni giorno accusata di «fomentare il terrorismo in tutta la regione», e con cui la partita pare farsi ogni giorno più nervosa.

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