Sono ripresi, nella giornata di ieri, i combattimenti a Mogadiscio tra le truppe dell'esercito etiope - e quelle del governo federale di transizione - e le forze di resistenza che si oppongono alla presenza militare di Addis Abeba in Somalia. Sporadici scambi di artiglieria e mortaio si sono uditi per tutta la giornata, soprattutto nel quartiere di Fagah, a Mogadiscio nord. E il ritorno alla battaglia vera e propria sembra solo una questione di ore: «Sia le forze etiopi che gli insurrezionisti si stanno posizionando, e temiamo che un nuovo, duro scontro possa cominciare nel giro di alcune ore», racconta al telefono un abitante di Fagah, desideroso di rimanere anonimo.
Dunque la tregua faticosamente raggiunta tra il comando etiope, i vertici della sicurezza del governo provvisorio somalo e i leader del principale clan della capitale, gli Hawiyeh, sembra destinata a frantumarsi rapidamente. La tensione è alta tra i militari di Addis Abeba, colpiti più volte nelle ultime ore da attentati suicidi e mine anticarro. E a un passo da un nuovo punto di rottura si trovano anche i capi tribali di Mogadiscio. Tramite il loro portavoce, Mohammed Hasan Haad, hanno fatto sapere: «il cessate-il-fuoco non esiste più. Le truppe etiopiche hanno attaccato alcune posizioni dei ribelli, ingannandoci. Hanno firmato l'accordo solo per prepararsi meglio a contrattaccare. Ora ci difenderemo perché l'accordo è stato violato dall'Etiopia».
Mentre ci si prepara ad una nuova battaglia che come unico risultato mieterà altre vittime civili (nell'ultima ondata di scontri sono morte almeno 1000 persone in un fine settimana), la situazione a Mogadiscio e in tutta la Somalia resta assolutamente confusa, senza via d'uscita dal caos. All'interno del governo provvisorio sono evidenti le diverse anime, divise tra loro sul prosieguo politico e militare del cammino. Alcuni giorni fa, il premier Ali Mohammed Gedi ha cacciato alcuni ministri e ne ha riposizionati altri (compreso il ministro degli esteri) e il Parlamento somalo ha ritirato il mandato a 31 membri, colpevoli di trovarsi fuori dal paese (tra questi, anche l'ex-portavoce del Parlamento somalo Sharif Hasan Sheikh Aden, l'uomo che tentò sino all'ultimo di evitare la guerra con le Corti islamiche). Nel contempo, il vice-Primo Ministro, Hussain Aidid, un tempo uomo di fiducia dell'Etiopia, si incontrava proprio con l'ex portavoce del Parlamento e con uno dei leader delle Corti islamiche, Sheikh Sharif Sheikh Ahmed. Al termine dell'incontro, svoltosi nella capitale eritrea Asmara, un comunicato congiunto ha condannato l'Etiopia per il suo intervento militare in Somalia e il governo provvisorio somalo, «un burattino nelle mani di Addis Abeba».
L'intesa raggiunta tra uno dei pochi uomini del governo provvisorio con una qualche influenza a Mogadiscio (Aidid), il politico che da sempre ha cercato il dialogo tra le componenti moderate dei due schieramenti somali (Sharif Hasan), e il leader moderato delle Corti islamiche (Sheikh Sharif), potrebbe creare non pochi imbarazzi all'Etiopia nella campagna «antiterrorismo» che ancora sta conducendo nella capitale somala. Crescono anche le voci internazionali che contestano l'operato etiope degli ultimi mesi, che lo stesso Aidid non ha esitato a definire «genocidio». «Se non si farà qualcosa, la crisi umanitaria che colpisce la Somalia diventerà molto presto una catastrofe», ha dichiarato Eric Laroche, inviato delle Nazioni unite, che ha accusato di pesanti negligenze il governo somalo e il comando militare etiope. Laroche ha parlato di almeno 200 mila sfollati dalla capitale dal mese di marzo.
Addis Abeba, però, non pare preoccuparsi di nulla, forte del sostegno incondizionato degli Usa. Dopo aver definito esagerato il rapporto delle Nazioni Unite, ha negato ogni accusa di genocidio, affermando che la responsabilità degli scontri è solo degli estremisti somali. L'Etiopia continua a rimbalzare la palla alla comunità internazionale, «ora responsabile di creare le condizioni necessarie per un rapido ritiro delle truppe etiopiche». E intanto, per gestire la crisi, ha convocato d'urgenza il presidente somalo Yusuf nella capitale etiope per comunicazioni. Ufficialmente, si è discusso di come intensificare la lotta al terrorismo e garantire la pace a Mogadiscio.