LETTERE

Welfare alla resa dei conti, un convegno a Roma

il commento
PUGLIESE ENRICO,

Il convegno del Ministero della solidarietà sociale (mercoledì, ore 9, presso il Cnel, via Lubin, 2) «Verso il bilancio sociale del paese» ha l'obiettivo di cominciare a fare il punto non solo sulle situazioni di disagio estremo, ma anche su quel complesso di meccanismi che producono precarietà e incertezza e in ultima analisi conducono al disagio estremo. Esso si fonda su alcuni assunti principali.
1. La povertà e l'esclusione non sono un inevitabile portato del sistema produttivo per cui le politiche sociali attuate per alleviarle, per quanto necessarie, sono essenzialmente un costo.
2. Le politiche sociali possono rappresentare una risorsa, una condizione dello stesso sviluppo economico, inosomma, un investimento produttivo.
3. Al di là della loro generale efficacia economica, le politiche sociali sono l'attuazione di un dovere politico: operare perché tutti i cittadini abbiano una vita dignitosa.
A questi tre obiettivi contenuti nel documento di base - e con i quali concordo pienamente - ritengo sia utile aggiungerne altri due, del tutto complementari. In primo luogo la necessità di una politica economica espansiva per le aree più povere del paese che riesca a assorbire i tassi di disoccupazione ancora eccessivi nonostante il miglioramento degli ultimi anni e che, soprattutto tramite gli incrementi occupazionali, riesca a ridurre il livello di povertà, paurosamente concentratosi negli ultimi anni nelle regioni meridionali. Qui infatti la povertà non riguarda soggetti marginali, come nelle aree più ricche del paese, ma sta diventando sempre di più una condizione diffusa tra la gente comune.
Da questo discende il secondo punto (essenziale per affrontare in maniera non regressiva l'esigenza di riforma del sistema italiano di welfare), quello del mantenimento e rafforzamento della solidarietà tra Nord e Sud del paese invertendo la tendenza politica e culturale dominante negli ultimi anni. È vero - e questo è un dato positivo - che l'orientamento antimeridionale e antisolidaristico (a partire dalla ideologia della Lega Nord stava per diventare senso comune) è stato sconfitto con l'esito del referendum sulla cosiddetta devolution. Ma è altresì vero che la riforma dell'articolo V della Costituzione, rimasto in larga parte inapplicato, comportava già una riduzione del carattere nazionale e generale dell'intervento nel campo delle politiche sociali introducendo forti sperequazioni senza introdurre alcun significativo elemento di democratizzazione o stimolo alla partecipazione.
L'orientamento punitivo che ha caratterizzato la presunta razionalizzazione del sistema di welfare in Italia non ha fatto altro che accrescere le condizioni di difficoltà materiale e di crisi sociale nelle regioni del Mezzogiorno. Qui le carenze del sistema di welfare non riguardano solo il malfunzionamento o l'inefficienza e i meccanismi clientelari, che pure esistono e rappresentano un problema gravissimo. Nel Mezzogiorno si registra anche una carenza di intervento di base nell'ambito delle politiche sociali per pura e semplice mancata disponibilità di risorse. C'entra ben poco con il clientelismo il fatto che nel Mezzogiorno solo il 4% dei bambini può godere del servizio pubblico di scuola materna per cui le famiglie meridionali, pur essendo più povere, devono acquistare questo servizio - in altre regioni fornito dal pubblico - sul mercato inviando i bambini in scuole materne private, se queste ci sono e se loro se lo possono permettere. Se la povertà è aumentata è anche per effetto della riduzione dell'intervento sociale (oltre che per le carenze della politica economica). Pensiamo all'esperienza del reddito minimo di inserimento, cancellato dal governo Berlusconi - con tanto di benedizione da parte della sua Commissione di indagine sull'esclusione sociale - con effetti gravi sul piano materiale e culturale. E non è un caso che sia ripresa l'emigrazione dei giovani dal Mezzogiorno in condizioni peggiori di quelle di trenta o quarant'anni fa, nell'epoca dello sviluppo industriale.
Si sa, il nostro sistema di welfare è carente. Esso presenta tutte le connotazioni (e i difetti) dei sistemi di welfare «mediterranei». Vale a dire: a. il prevalere delle prestazioni in danaro rispetto alla fornitura di servizi o per lo meno un maggiore peso dei primi rispetto ai secondi, diversamente da quanto si registra nei modelli europei del Nord (in soldini: meno asili per bambini e servizi per gli anziani e relativamente più pensioni o sussidi); b. la dicotomia tra soggetti forti e soggetti deboli, per cui alcuni strati della popolazione sono virtualmente esclusi dal sistema quali beneficiari diretti, cioè donne non presenti nel mercato del lavoro e giovani, con novità riguardanti non una maggiore attenzione ai soggetti deboli bensì l'attacco a quelli più protetti in passato (si veda il caso delle pensioni); c. una particolare struttura del welfare mix, per cui dei tre attori centrali della fornitura dei servizi di protezione sociale (il mercato, lo stato e la famiglia) quest'ultima è stata sovraccaricata di responsabilità (ora soprattutto anche per la cura degli anziani). Ma ormai è acquisito il fatto che la famiglia, oggetto più di retorica che di effettivo sostegno in particolare negli ultimi anni, non ce la fa a reggere come in passato per effetto delle trasformazioni demografiche e culturali.
In questo quadro non ci sono ricette magiche. Non saranno il terzo settore e il volontariato - che pure dovranno avere un ruolo di rilievo - a risolvere il problema. Non sarà il welfare locale (nuovo deus ex-machina) a compensare l'assenza di risorse dei comuni nel Mezzogiorno: l'importanza del welfare locale e municipale è stata trascurata in passato; ma se l'assenza di partecipazione ha determinato spreco di risorse, mancata prevenzione e inefficienza, ciò non vuol dire che in assenza di risorse, i bisogni sociali vengano soddisfatti dalla partecipazione. Soprattutto non saranno i tagli alla spese sociale o il federalismo fiscale rendere più umano il nostro sistema di welfare.
Bisogna «cercare ancora» mettendo in campo idee, risorse e partecipazione. C'è da augurarsi che il convegno - con partecipazioni di studiose e studiosi con competenze e formazioni diverse - possa far fare un passo in avanti in tal senso.

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