SPORT

N. 1 con un pizzico di sana follia

PIERANNI SIMONE,

Tempi duri per i portieri. Perfino Buffon accusa qualche cedimento. Dopo un paio di dribbling al cardiopalma, andati bene, a Mantova si è fatto uccellare da Serafini direttamente da centrocampo. Ed ecco tornare il luogo comune: i portieri sono mezzi matti. Un libro appena uscito li mette in fila, tra spunti, genialate e un pizzico di retorica. Luigi Guelpa ha raccolto alcune storie di portieri, tutti stranieri, accomunati dall'istrionismo, la stranezza delle proprie vite e le personali interpretazioni del ruolo. Un manicomio tra i pali, (Limina, 14 euro). Ce n'è per tutti i gusti, sudamericani, arabi, europei. Storie di vite che si incrociano con i pali, dove fare poesia, chissà perché, sembra sempre essere più difficile. Sarà perché, per chi ha giocato «sotto», è difficile capire come a qualcuno possa venire in mente l'idea di diventare portiere. Tempo fa in porta ci finivano o quelli che non sapevano giocare o quelli cui piacevano i riti, la vestizione, le ginocchiere, la maglia diversa e la possibilità di buttarsi da un palo all'altro o sui piedi dell'avversario. Pigrizia unita al gusto dell'avventura. Razionalità, unita alla pazzia, insana voglia di protagonismo, il numero uno, ecc.
Poi c'è chi, alla fine, non ha mai scelto veramente. E' il caso di Jorge Campos, portierino del Messico, quello con le magliette sgargianti, che costringevano milioni di telespettatori a litigare mezz'ora con i tasti del colore della propria televisione. Jorge si trasferisce giovanissimo a Città del Messico. Lì si consuma in panchina da numero 12, fin quando non chiede al mister la possibilità di giocare da centravanti. Detto fatto, 14 gol in 37 partite. Poi torna in porta e quando Baròn, il suo pigmalione, viene chiamato in nazionale, Campos entra nel mito. Contro il Paraguay gioca il primo tempo tra i pali, nel secondo da centravanti, regalando gli assist decisivi per la vittoria dei messicani. Qualcuno storce il naso e per lui finiscono i tempi del doppio ruolo. Ma Campos non sa stare fermo. Va all'Atlante e gioca in Messico, in porta. Quando finisce la stagione, per la pausa invernale, si trasferisce negli Usa, dove è bomber di razza prima con i Los Angeles Galaxy (quelli di Beckham) e poi nei Chicago Fire. Lo chiamano Road Runner, il celebre Beep Beep dei cartoons. Il 16 giugno 1996 entra nel Guinness dei Primati: nel pomeriggio gioca al Rose Bowl di Pasadena, Messico-Usa. Poi prende un taxi e parte per andare a giocare la gara dei Galaxy contro il Tampa Bay.
Passando per il portiere della Corea, quella fatale, fino al portiere simbolo del calcio iracheno, tartassato dal sadismo del figlio di Saddam, passando per Groebbelar, Barthez, Higuita, si giunge a Hugo Orlando Gatti, a conferma che i sudamericani stanno un passo avanti a tutti. Gatti è quello che nel Superclasico, Boca-River, proletari contro milionarios, gioca nel River ma è tifoso del Boca. I xeneixes non lo apprezzano e gli tirano di tutto. Lui, scopa in mano, pulisce diligentemente la propria porta. Come il belga Pfaff, che mangiò una mela tiratagli contro dalla curva avversaria, chiedendone poi un'altra. Gatti era soprannominato El Loco e costituì un mito nell'immaginario dei portieri del Sudamerica. Nel 78 rifiuta la nazionale: «non volevo essere complice dei dittatori che usarono il calcio per nascondere i loro crimini e quintali di merda».
Non solo istrioni, ma anche facce tristi. Valdir Perez, il punto debole del Brasile del 1982, Ramon Quiroga, il portiere del Perù che beccò i famosi 6 gol dall'Argentina nel 78 e chi, come Jesus Mariano Angoy, ha saputo tramutare una sfiga parentale in una svolta della carriera. Angoy è un portiere, gioca nel Barcellona. Si fidanza e si sposa con la figlia del mister, Cruyff. L'olandese, così sfacciato nella sua poesia calcistica, in panca si fa delle remore e gli preferisce chiunque, perché non vuole essere sospettato di favoritismi. Angoy mastica amaro, poi la svolta. Una squadra di football americano di Barcellona cerca un kicker. Angoy pensa e si dice, perché no. Arriva il successo e la chiamata dai Denver Broncos, nel football americano.

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