INTERNAZIONALE

Fatta la legge, ora l'Eni segua l'esempio di Mattei

Iraq-petrolio
ALBERTI FABIO,

 L'ex presidente dell'Ente nazionale per gli idrocarburi, Enrico Mattei, fu ucciso - pochi dubitano ormai di ciò - a pochi giorni dalla firma di un accordo con il governo iracheno del presidente Ab-el Karim Qassim, che aveva avviato dal 1961 una politica di riappropriazione delle risorse energetiche. Qassim sarà poi spodestato da un colpo di stato sostenuto dalla Cia.
Cosa avrebbe fatto oggi Mattei? La domanda sorge spontanea a fronte della possibilità che l'Eni, compagnia petrolifera a forte partecipazione pubblica, persegua e sottoscriva contratti di sfruttamento di giacimenti di petrolio in Iraq sulla base della nuova legge sugli idrocarburi che il Parlamento Iracheno sta per approvare sotto la pressione del governo statunitense e delle multinazionali dell'energia.
A 34 anni dalla nazionalizzazione del petrolio la legge approvata l'altro ieri dal Governo iracheno filo statunitense, che incontra la decisa opposizione di tutte le organizzazioni sindacali, apre nuovamente alle compagnie energetiche internazionali l'accesso ai rubinetti dell'oro nero della Mesopotamia (che, dopo l'Arabia Saudita, possiede le seconde riserve di greggio del mondo) lo fa a condizioni di estremo vantaggio. Le più vantaggiose condizioni al mondo. Un vantaggio che, è stato calcolato, potrebbe far raddoppiare i profitti (e dimezzare le entrate per l'erario iracheno) rispetto alle condizioni in essere in Iraq prima della guerra. Un vero e proprio bottino di guerra.
Come si deve comportare a fronte di ciò una impresa semi pubblica come l'Eni? E quale direttiva darà il Ministro del Tesoro ai propri rappresentanti nel consiglio di amministrazione della società? Non è un mistero che la maggiore compagnia energetica italiana, quarta nel mondo, persegua interessi in Iraq. Già nel 1997 aveva firmato un accordo con il governo di Saaddam Hussein per lo sfruttamento, con la spagnola Repsol, dei giacimenti di Nassiriya, dove, proprio per questo motivo, il governo Berlusconi aveva inviato le nostre truppe. Recentemente l'Eni ha avviato colloqui anche con il governo del Kurdistan iracheno e si è dimostrata interessata alla estrazione di gas. Ciò che è legittimo aspettarsi da una società per il 32% pubblica e da un governo che ha deciso il ritiro delle truppe dall'Iraq come primo atto di politica estera, è che, avendo partecipato alla guerra, non se ne profitti e ci si astenga dall'investire sino a che l'Iraq non sarà nuovamente un paese nel pieno della propria sovranità.
Oppure si ripercorra la strada di Mattei: si rompa il cartello delle multinazionali, insieme a cui si è fatto lobbying sul governo iracheno, e si offra all'Iraq l'opportunità di accordi di breve durata e vantaggiosi per l'erario iracheno. Sarebbe vergognoso se, mentre con una mano si inviano pochi milioni di euro di aiuti, con l'altra si partecipa alla spoliazione delle ricchezze del paese per miliardi di euro.

*Un ponte per...

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