Alla fine anche Abdullahi Yusuf è arrivato a Mogadiscio. Ieri, per la prima volta dal 2004 - quando è nato il governo federale di transizione somalo (Tfg) - il presidente è entrato nella capitale somala. Yusuf è atterrato all'aeroporto internazionale nelle prime ore del pomeriggio, accolto dal primo ministro Ali Mohammed Gedi e da numerosi membri del governo provvisorio, oltre che da un imponente schieramento di sicurezza del Tfg e dell'esercito etiope. Alcuni abitanti della zona dell'aeroporto, contattati dal manifesto, hanno raccontato di un imponente convoglio di automobili scortato da almeno venti technical (i pick-up che sul cassone montano una mitragliatrice pesante) e da diverse centinaia di soldati. «Il presidente è arrivato in città, e ora sta riposando al Nasa Hablod Hotel. Tra poco si trasferirà a Villa Somalia, che sarà la sua residenza qui in capitale», ha dichiarato una fonte del Tfg che ha chiesto l'anonimato.
Insediarsi a Villa Somalia ha un significato simbolico molto importante. La villa, ora crivellata dai proiettili, è stata il palazzo presidenziale di Siad Barre, ultimo presidente della Somalia unita prima dei questi 16 anni di guerra civile. L'arrivo del presidente in città vuole rappresentare, da parte del governo provvisorio, un'ulteriore prova di forza nei confronti di tutti gli scettici e degli oppositori interni. Recentemente, parlando con il manifesto, un importante businessman e politico di Mogadiscio, Shawey Mohamed, aveva espresso la sua preoccupazione per il possibile arrivo in città del presidente: «In molti stanno invitando Yusuf a entrare subito a Mogadiscio. Per me non è ancora tempo, le armi sono ancora nelle mani sbagliate. In ogni momento può succedere qualcosa». Ma il Tfg vuole forzare la mano, forte della presenza etiope, e non perde occasione per dimostrarlo. Resta ora da vedere se e come il governo riuscirà a disarmare la popolazione di Mogadiscio, in particolare i signori della guerra rientrati in città, e che attendono di discutere con Gedi e Yusuf la redistribuzione del potere tra i clan e i sottoclan che segmentano la società somala. Molti degli «uomini forti» dei sotto clan di Mogadiscio, incontrati nei giorni scorsi, si dicevano disposti a disarmare le proprie milizie, e a farle confluire negli organi di polizia del Tfg, a patto di un'equa distribuzione del potere nel governo tra le varie fazioni. Abdi Qeybdid, uno dei principali warlord sconfitti dalle Corti islamiche ora rientrati nella capitale, ci ha dichiarato : «Il popolo di Mogadiscio ha la pace nelle sue mani. Aiuteremo il governo contro i terroristi (i miliziani delle Corti islamiche rimasti in città, ndr) che vanno cacciati. Oggi in Somalia non ci sono più warlord né islamisti. Mogadiscio è una città nuova».
Al di là delle parole, che sono sempre veloci a cambiare di tono in Somalia, c'è un problema reale di divisione del potere. Yusuf continua ad essere percepito come un uomo che viene da fuori - è migiurtino del Puntland - mentre il nome di Ali Gedi, che pure è un hawiya di Mogadiscio, sino ad una settimana fa suscitava solo grasse risate. «Oggi Gedi fa la voce grossa. È diventato un warlord, e la sua milizia sono gli etiopi. Appena se ne andranno, ritornerà ad essere ciò che era. Un venduto», ci ha detto Mohamed Hasan, seduto nel suo negozio di telefonia a Bakarahaa Market.
Intanto, la tensione in città monta. Ieri nei pressi del Shahafi Hotel a Quarto Chilometro, molto vicino all'aeroporto internazionale, un gruppo di uomini armati non meglio identificati ha attaccato un convoglio misto di truppe etiopi e del Tfg. Dopo aver mancato il bersaglio con un Rpg, è scoppiato un conflitto a fuoco, che ha ucciso almeno 4 uomini della pattuglia, non si sa ancora se etiopi o somali. Il Tfg non ha incolpato le Corti islamiche, e ha dichiarato che si sta investigando sugli autori dell'attacco. Ma la rabbia in città per la presenza degli etiopi è evidente, camminando per le strade e parlando con la gente. «I cristiani hanno invaso il nostro paese, noi non vogliamo avere nulla a che fare con loro», ha urlato una venditrice di khat nel mercato di Jidka Sodonka, mentre ad Addis Abeba l'Unione africana discuteva l'invio di una forza di pace entro fine mese. «Nessuno deve restare in Somalia. Combatteremo chiunque entrerà nel nostro paese. Chiunque».