Ieri mattina, alle prime luci dell'alba, è caduta anche Kismayo, ultimo baluardo difensivo dell'Unione delle Corti islamiche, l'alleanza politica che ha controllato per sei mesi tutta la Somalia centro-meridionale. Dopo una giornata di pesantissimi scontri avvenuti nei pressi di Jilil, 100 chilometri a nord di Kismayo, i miliziani islamismi sconfitti hanno abbandonato la città portuale a sud di Mogadiscio, e si sono diretti verso la frontiera con il Kenya.
Sembra così finita la guerra tra le Corti islamiche e l'Etiopia (e il suo fedele quanto debole alleato somalo, il governo provvisorio). Sembrava ci si stesse preparando ad un conflitto lungo e dall'esito incerto, poi d'improvviso le Corti hanno capitolato sotto l'avanzata dell'esercito e dell'aviazione etiope. Rintanatisi nell'impervia regione meridionale del fiume Jubba, gli islamismi però, solo due giorni fa, promettevano di mettere in atto una resistenza dura e a tempo indeterminato. Parlando al telefono da Kismayo con il manifesto, uno dei maggiori leader islamici, Sheikh Sharif Sheikh Ahmed, non più tardi di 24 ore fa aveva assicurato che «l'Etiopia non dimenticherà mai la lezione che stiamo per infliggergli. Da ora in avanti attaccheremo le truppe etiopi secondo le regole della guerra di guerriglia». Ma la assoluta supremazia numerica e tecnologica dell'esercito di Addis Abeba pare aver avuto ancora la meglio. Ora, secondo fonti vicine alle Corti islamiche contattate a Kismayo i leader islamici, con i loro miliziani più fedeli, si sarebbero diretti nella regione di Bur Gabo, sul lato somalo del confine con il Kenya. «Quell'area ha una vegetazione simile alla giungla. Se si sono nascosti da quelle parti, le truppe etiopi avranno gradissime difficoltà a inseguirli», ha spiegato Mohammed Yusuf, commerciante di Mogadiscio originario della regione. «La regione del basso Jubba è come il Vietnam», ha concluso.
Intanto, dalla capitale Mogadiscio, il primo ministro del governo di transizione, Mohammed Ali Gedi, continua a cantare vittoria e impartire ordini. Dopo aver assicurato che «Kismayo è totalmente sotto controllo del governo» - anche se in realtà sia la conquista che la presa del territorio sono state effettuate, come in tutto il resto del paese, dai militari di Addis Abeba -, Gedi ha invitato il contingente di peacekeepers dell'Unione Africana voluto dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite «a dispiegarsi in Somalia nel minor tempo possibile», di modo da stabilizzare il paese. Gedi ha anche chiesto al Kenya di chiudere i propri confini di modo da impedire agli islamisti di nascondersi oltre confine e di arrestare eventuali fuggiaschi. Il presidente keniota Kibaki ha subito dispiegato massicciamente esercito e polizia lungo il confine, in modo da controllare la lunga e impraticabile frontiera, in funzione anti-islamica e anche per frenare l'ondata di profughi che si sta muovendo dalla regione di Kismayo, in fuga dai combattimenti e spaventata da possibili rappresaglie.
Kibaki ha inoltre chiesto ai governi dei Paesi del Corno d'Africa di riunirsi nel più breve tempo possibile, per discutere dell'esacerbarsi della situazione in Somalia. Nel frattempo, stando a fonti diplomatiche americane, navi da guerra statunitensi provenienti dalla base antiterrorismo di Gibuti si sarebbero dirette verso il confine kenio-somalo, e starebbero incrociando, in acque internazionali, esattamente di fronte al porto di Kismayo, così da fermare eventuali tentativi di fuga via mare dei leader delle Corti.
Secondo racconti di alcuni abitanti della città, contattati al telefono da Mogadiscio, i bombardamenti e i tiri di missili e di mortai contro le periferie di Kismayo sono cessati nelle prime ore dell'anno nuovo. Poi, mentre le avanguardie etiopiche avanzavano verso il mare, è iniziata la fuga verso la boscaglia dei guerriglieri. «Kismayo è caduta, le Corti sono sparite e la guerra è finita», ha dichiarato il premier Ali Gedi, che ha anche invitato i miliziani islamici a riconsegnare le armi, offrendo loro una amnistia. «Molti somali sono stati condizionati dalla presenza i terroristi internazionali», ha affermato il capo dell'esecutivo.
Etiopia e Tfg gridano al mondo la loro vittoria. Tutto sembra finito, anche se molte cose in Somalia sembrano ancora da chiarire. Anzitutto, c'è da capire cosa faranno ora gli irriducibili delle Corti fuggiti da Kismayo. Resta alto il timore per l'inizio di una guerriglia in stile iracheno contro un governo che molti vedono come marionetta dell'Etiopia cristiana, che in Somalia ha schierati almeno 20.000 soldati. C'è poi da capire cosa faranno gli ex-signori della guerra. Molti parlano di pace, ma si lamentano del trattamento che stanno ricevendo dal primo ministro, che accusano di fare una politica tribale che tende a cancellare dalla mappa del potere alcuni clan. Oggi a Baidoa molti warlords incontreranno il presidente Yusuf. Dall'esito di questi colloqui dipenderà molto del futuro della Somalia.