LA PAGINA 3

«Ringraziamo Etiopia e Usa, ora controlliamo noi il paese»

Intervista ad Abdirahman Dinari, portavoce del governo di transizione
MANFREDI EMILIO,Mogadiscio

Il compound del presidente Abdullahi Yusuf, a Baidoa, è una costruzione italiana di epoca fascista, tinteggiata di fresco. Una delle poche strutture in muratura rimaste in piedi e ben conservata. Subito dietro, la chiesa fatta costruire sempre in quegli anni, è oggi adibita a moschea. Il portavoce del governo di transizione somalo (Tfg), Abdirahman Dinari, ci guida all'interno della residenza del presidente sino ad una specie di sala riunioni arredata poco e male. Qui parla col manifesto mentre nugoli di mosche attaccano direttamente agli occhi.

Cosa sta succedendo ora a Mogadiscio?
Il primo ministro del Tfg, Mohammed Ali Gedi, ha passato tutta la serata di ieri ha discutere con i rappresentanti sociali di Mogadiscio. Anziani, donne, società civile. Tutte queste componenti della nostra società hanno accettato di cooperare con il Tfg. Stanno mettendo a punto un piano per lavorare assieme e per permettere il pieno dispiegamento delle nostre forze in città. A partire da questa mattina, l'esercito somalo sta lentamente prendendo il controllo della capitale, accolto dal calore della popolazione. Siamo in città sia a nord che a sud, in tutti i suoi principali punti d'accesso. Ci stiamo posizionando nell'aeroporto e al porto commerciale. Spero che nel pomeriggio di oggi (ieri, ndr) avremo il pieno controllo di Mogadiscio. La popolazione accoglie come liberatori, dopo i mesi di oppressione imposti dalle Corti islamiche.

Chiedete aiuto alla comunità internazionale?

Il Tfg richiede alla comunità internazionale di far partire subito un intervento umanitario in Somalia. Questo è il momento in cui il governo ha bisogno del supporto del mondo. Soprattutto, è la nostra gente che lo chiede. Non si può dimenticare che oltre un milione e mezzo di somali sono sfollati, gente che non ha casa e ha perso tutto. Se la comunità internazionale non ci aiuterà, vorrà dire che avrete deciso di dimenticare la Somalia ancora una volta.

Cosa chiedete ora all'Etiopia?

L'Etiopia è un paese membro dell'Igad (l'autorità per lo sviluppo che riunisce 7 Stati dell'area). In questo spirito, Addis Abeba non ci ha invaso, ma si è genuinamente preoccupata della nostra sicurezza e della sicurezza dell'intero Corno d'Africa, messa a rischio dalla presenza delle Corti islamiche nel sud della Somalia. Il Tfg e l'Etiopia hanno attivamente contribuito a mettere in sicurezza l'intera regione, contro la minaccia congiunta procurata dagli islamisti, dall'Eritrea, e dai gruppi terroristi etiopi. Senza dimenticare i legami diretti delle Corti islamiche con il terrorismo internazionale. Come Tfg e come popolo somalo, vogliamo ringraziare il governo di Addis Abeba e il popolo etiope per aver supportato uno stato limitrofo nella sua lotta per la libertà.

Siete in grado di gestire il territorio autonomamente o chiedete ancora l'intervento di peacekeepers?

Al momento, le truppe etiopi stanno supportando l'esercito nazionale somalo nel mettere in sicurezza il territorio sotto il nostro controllo, che corrisponde al 95% del Paese. Di certo, avremo bisogno di una forza di pace.

Come si è comportata, dal vostro punto di vista, la comunità internazionale nella crisi?

Il Tfg ringrazia anzitutto l'Igad, l'Unione Africana, gli Usa e la Gran Bretagna per il supporto costante. Soprattutto ci ha fatto molto piacere la risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu che ci ha dato forza. Non abbiamo apprezzato invece l'atteggiamento della Lega Araba che ha mancato di rispetto al governo somalo, sovrano e legittimo. Così come non abbiamo gradito il comportamento di alcuni stati limitrofi che hanno interferito nei nostri affari interni. In particolare, Gibuti, che ha da subito supportato il nemico del popolo somalo.

Qual è la situazione a Kismayo, dove si sono asserragliati i leader delle Corti e i loro miliziani?

Kismayo non ha mai voluto gli islamisti. Da subito ci sono stati incidenti. Ora la popolazione non supporta le Corti, meno che mai. I leader si stanno nascondendo da quelle parti, in tutta la regione di Juba. È un territorio complesso, ma li staneremo e dovranno rispondere di tutti i loro crimini.

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