INTERNAZIONALE

Mogadiscio aspetta l'assedio

MANFREDI EMILIO,Addis Abeba

Continua l'avanzata vincente dell'esercito di Addis Abeba, che ha dalla sua il sostegno aperto degli Stati uniti. Obiettivo: distruggere le Corti islamiche somale, presunto alleato di al-Qaeda in Africa, di cui sosterrebbero le dinamiche terroristiche. Il fronte di guerra racconta l'avanzata delle truppe etiopiche, accompagnate dalle forze del governo di transizione (Tfg) di Baidoa e dai miliziani di quei signori della guerra cacciati dalla Somalia nei mesi scorsi dalle Corti islamiche, che l'Etiopia ha ospitato per mesi e ora resuscita.
Ieri, all'alba, è caduta Jowhar, città strategica sulla costa, 90 chilometri a nord di Mogadiscio. A guidare la conquista, centinaia di soldati di Addis Abeba, a cui si sono accodati gli uomini di Mohammed Dheere, uno dei più efferati warlord somali, già ministro nel Tfg e padre-padrone di Jowhar prima degli islamisti. «Non abbiamo intenzione di perseguitare coloro che hanno collaborato con le Corti nel passato. Ma da ora ognuno risponderà delle proprie azioni», ha affermato Dheere in un discorso tenuto nel piazzale della città. Il signore della guerra ha poi chiesto alla popolazione di dare il benvenuto alle truppe etiopiche, visto che proprio grazie a loro che il governo di transizione somalo sta riconquistando il paese. «Ora siamo pronti ad attaccare Mogadiscio. Scateneremo l'offensiva domani, avanzando da sud e da nord», ha affermato Dheere. A sud della capitale, intanto, ieri è riapparso il colonnello Barre Hirale, un altro signore della guerra sconfitto dalle Corti islamiche. Sfilando a Dinsoor accanto alle truppe etiopi, Hirale, ha assicurato che riconquisterà a brevissimo Kismayo, sua ex-roccaforte.
Nella capitale la popolazione si prepara all'assedio. Dopo 15 anni di guerre e distruzioni, migliaia di famiglie cercano di mettersi al riparo dai combattimenti, aumentando il numero di sfollati interni che vagano, in mezzo agli scontri, senza meta e senza assistenza - infatti le agenzie umanitarie, che stavano inviando viveri in seguite alle pesantissime inondazioni degli ultimi mesi, hanno dovuto interrompere i soccorsi, a causa del blocco aereo imposto dal governo di transizione per permettere all'aviazione etiope di attaccare.
Sul fronte islamista regna la confusione. Secondo alcune fonti, il capo militare del gruppo religioso, Sheikh Yusuf Inda'adde, e il suo vice, Muktar Roboow Abou Mansour, dopo aver urlato ai quattro venti di essere pronti a morire in battaglia, hanno preferito recarsi alla Mecca per il pellegrinaggio dell'Hajj. In molte città, i miliziani delle Corti si sarebbero ritirati senza nemmeno affrontare il nemico. Disfatta totale, gridano gli uomini del governo di Baidoa, vittoriosi solo con l'appoggio etiopico.
Gli islamisti parlano invece di un cambio di tattica. Ritirare il grosso delle proprie forze a Mogadiscio, per difendere la capitale, potrebbe costringere l'esercito etiope ad un assedio. E, come la tragica missione Restore Hope degli anni '90 ha dimostrato, nemmeno l'esercito più addestrato può avere la meglio sulle capacità di guerriglia dei somali, sostenuti da una popolazione di almeno due milioni di abitanti che, storicamente, odia l'Etiopia.
Intanto, la comunità internazionale sembra spaccata. Ieri, il Consiglio di Sicurezza Onu, già responsabile dell'escalation militare di queste ore a causa della risoluzione che prevedeva l'invio di una forza di peacekeeping in Somalia, non è riuscito a raggiungere un accordo su un cessate il fuoco immediato. Gli Stati uniti ieri hanno confermato il loro aperto sostegno all'intervento etiopico affermando che Addis Abeba ha giustificati motivi di preoccupazione. Quasi contemporaneamente sono arrivati, uno dietro l'altro, gli appelli di Lega araba, Unione africana e Igad (il raggruppamento dei sette paesi dell'est Africa) perché «le truppe straniere» si ritirino immediatamente dalla Somalia. L'Europa si segnala, al solito, per il suo stare a guardare. Ieri Javier Solana, alto rappresentante Ue per la pollitica estera, ha fatto appello a «tutte le parti» perché esercitino «la massima moderazione» e si impegnino «senza precondizioni» ad aprire un negoziato.
Addis Abeba incassa le divisioni e continua l'attacco.

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