Alla fine, i militari etiopi in Somalia ci sono davvero. Dopo mesi passati a negare la presenza di truppe, il premier etiope Meles Zenawi ha d'un tratto ammesso l'intervento in Somalia a sostegno del governo di transizione (Tfg).
In un messaggio televisivo alla nazione, domenica sera, il premier ha annunciato di avere scatenato una pesante controffensiva nei confronti delle Corti islamiche, il gruppo politico-religioso che da giugno controlla Mogadiscio e la Somalia centro-meridionale. «L'Etiopia vuole solo sviluppo interno e pace, ma siamo stati costretti a entrare in guerra per salvaguardare la sovranità e la pace del nostro paese. Dobbiamo difenderci dalle ripetute aggressioni delle forze fondamentaliste. Da oggi, le nostre forze armate hanno attaccato queste forze del terrore e della distruzione che continuano a minacciarci dai loro santuari in Somalia». Detto ciò, Zenawi non ha più dovuto nascondere le proprie intenzioni e l'ingente numero di soldati (almeno 15mila) schierati in territorio somalo attorno a Baidoa, la capitale del Tfg. Immediatamente si è scatenato un attacco militare di terra, supportato dal cielo da caccia da combattimento Mig e elicotteri da guerra.
Se nei primi giorni di guerra erano stati i miliziani islamisti ad avere la meglio sulle forze del Tfg, avanzando sino a una dozzina di chilometri da Baidoa, l'entrata in guerra ufficiale di Addis Abeba ha permesso di scatenare tutta la potenza di fuoco dell'esercito più pericoloso - numericamente e qualitativamente- dell'intero Corno d'Africa. Una forza militare che difficilmente si sarebbe potuta dislocare all'interno della Somalia in poche ore, ma che evidentemente, come centinaia di fonti somale e diplomatiche asserivano da mesi, si trovava già oltre frontiera.
Nelle prime ore di lunedì 25 dicembre, jet etiopi hanno colpito le prime linee degli islamisti, infliggendo loro grosse perdite e costringendoli a ritirarsi di diverse decine di chilometri, poi si sono diretti verso Mogadiscio, bombardandone massicciamente l'aeroporto internazionale e l'aeroporto militare di Baladogle, 100 chilometri più a sud. A giustificazione degli attacchi, fonti del ministero della Difesa etiope contattate dal manifesto, hanno citato la decisione del governo provvisorio di chiudere tutte le frontiere del paese, da terra, aria e mare, chiedendo il supporto della comunità internazionale. Ieri, intanto, l'Unione Africana, dopo mesi di balbettii e silenzi, si è decisa a intervenire a sostegno dell'attacco etiope.
Sul terreno, la situazione militare appare favorevole al governo provvisorio e all'Etiopia. L'ambasciatore del Tfg ad Addis Abeba, Abdikarim Farah, ieri dichiarava raggiante al manifesto: «Forze di terra congiunte, del mio governo e di Addis Abeba, hanno riconquistato sinora 17 città somale precedentemente in mano agli islamisti. Siamo stati accolti da scene di giubilo. Adesso i militari etiopici stanno avanzando verso Mogadiscio. Sono a circa 70 chilometri dalla città e la capitale può cadere nelle prossime 24-48 ore», ha concluso l'ambasciatore. A rincarare la dose di certezze è intervenuto anche Zenawi: «Stiamo spazzando via le forze terroriste internazionali che si stanno ritirando confusamente» ha detto nel corso di una conferenza stampa. «Abbiamo ucciso sinora almeno 1000 terroristi, la maggior parte dei quali sono di nazionalità straniera. Siamo a metà del nostro lavoro. Appena completeremo la seconda metà, ci ritireremo dalla Somalia».
Una guerra lampo dunque, stando alle previsioni del governo etiope. Ma fonti diplomatiche riservate, contattate a Nairobi dal manifesto, ritengono improbabile una rapida conclusione delle ostilità e difficile, per le truppe etiopiche, prendere Mogadiscio. Inoltre, le Corti islamiche non si danno affatto per vinte. Parlando alla stampa da Mogadiscio, Sheikh Sharif Sheikh Ahmed, leader dell'esecutivo degli islamici, ha dichiarato: «L'intervento delle forze aeree etiopiche ci ha fatto cambiare tattica. La nostra ritirata da alcune zone è solo strategica. L'Etiopia ci ha invasi e ora pagherà il prezzo. Non credete alle parole di Zenawi: la guerra ora sarà lunga e senza fine». E risuonano ancora le parole di Sheikh Yusuf «Inda'adde», capo militare delle Corti, che pochi giorni fa ha invitato i combattenti islamici a unirsi alla guerra santa contro l'Etiopia: «La Somalia è aperta ai musulmani di tutto il mondo: i militanti vengano a combattere al fronte. Diffonderemo la Jihad e, a Dio piacendo, attaccheremo Addis Abeba».
Molti analisti ritengono che l'offensiva scatenata dall'Etiopia abbia precipitato il Corno d'Africa in una situazione di grave instabilità, che rischia di trascinare in guerra tutti gli stati della regione. Zenawi è tornato a denunciare la presenza di militari eritrei con le Corti islamiche. Asmara, che continua a avere relazioni molto tese con Addis Abeba dopo la guerra del 1998, ha smentito. «Non abbiamo soldati in Somalia. La responsabilità della guerra è solo dell'Etiopia che sta violando il territorio di un Paese sovrano», ha dichiarato il presidente eritreo Isaias Afeworki.