Il profilo della mappa dell'Etiopia incorniciato da una corona di alloro. Sullo sfondo, una grande stella a cinque punte. Poco più in basso, una scritta in lingua amarica: tutto il potere viene dal popolo. Si presenta così il soffitto dell'aula del tribunale di Addis Abeba utilizzata da sempre per i processi politici. Una costruzione anni '70 in stile sovietico, voluta dal regime socialista del Derg che ha governato l'Etiopia dal 1974 sino al 1991.
Ieri, proprio in questa atmosfera surreale, l'ex-dittatore Mengistu Haile Mariam - il leader del Derg - è stato condannato in absentia, al termine di un estenuante processo durato 12 anni, per genocidio, uccisioni extragiudiziali, arresti di massa e abuso di potere. Un processo raro in Africa, dove usualmente gli ex-governanti non vengono chiamati a rispondere di crimini davanti a un tribunale del proprio Paese. Assieme a Mengistu, sono stati condannati anche altri 73 esponenti della giunta militare: 40 di loro si trovano da anni nelle carceri di Addis Abeba, 27 sono stati invece condannati da latitanti. Quattordici, infine, sono morti durante il processo. Dopo il verdetto di colpevolezza, passato in camera di consiglio con il voto di due giudici su tre, il processo è stato aggiornato al 28 dicembre, quando verranno emesse le sentenze definitive.
Secondo la legge etiopica, i colpevoli di genocidio sono punibili con la condanna a morte. «I membri del Derg presenti in aula oggi e quelli giudicati in absentia hanno cospirato per distruggere un gruppo politico e uccidere la popolazione impunemente», ha dichiarato Medhen Kiros, il giudice che presiedeva la corte. Molte testimonianze accusano Mengistu di aver autorizzato numerose esecuzioni e torture di prigionieri. Tra i molti omicidi attribuiti al dittatore, spicca quello dell'ex Imperatore Haile Selassie (al proposito si racconta che il monarca sarebbe stato strangolato nel suo letto e poi seppellito sotto una latrina nel palazzo imperiale), di molti membri della famiglia reale e di almeno 60 tra ministri e alti ufficiali del governo imperiale.
L'epoca del regime di stile sovietico del colonnello Mengistu inizia nel 1974, quando un gruppo di ufficiali dell'esercito etiope depone l'Imperatore d'Etiopia, Haile Selassie. Da mesi il Paese, di per sé uno dei più poveri del mondo e a quei tempi totalmente legato all'agricoltura di sussistenza, si trova sull'orlo del collasso a causa di un raccolto disastroso. La situazione si aggrava di mese in mese, scatenando una devastante carestia. Mengistu si afferma come leader della giunta militare nel 1977. In quell'anno si allea con l'Urss per respingere un tentativo di invasione somalo nell'Ogaden, e proclama la Repubblica socialista e popolare d'Etiopia, tentando di creare uno stato di impronta sovietica. Migliaia di intellettuali e oppositori sono stati uccisi, incarcerati e torturati durante il Derg. Alcuni esperti parlano di centomila morti.
L'apice delle «purghe» ordinate dal colonnello è avvenuta nel 1977-78, in quello che è stato definito il periodo del «Terrore Rosso». Stando alle testimonianze rese durante il processo, moltissimi oppositori sarebbero stati uccisi per le strade d'Etiopia, finiti a colpi d'arma da fuoco o incaprettati. I corpi venivano poi gettati in strada, sinistro monito per chi rimaneva vivo. Di certo, Mengistu ha liberato il Paese dall'antico sistema feudale tenuto in vita dall'Imperatore, effettuando numerose riforme economiche e sociali. Ma il partito dei Lavoratori, si è reso presto impopolare per le dure politiche sociali e per i trasferimenti forzati della popolazione, effettuati nel tentativo di ridurre al silenzio le minoranze etniche.
A innescare la crisi definitiva del Derg, in una sorta di contrappasso dantesco, una nuova siccità che ha colpito l'Etiopia nel 1984, uccidendo almeno un milione di persone. La crisi dell'Unione Sovietica ha tagliato definitivamente le gambe a Mengistu, che nel 1991 è stato deposto dall'avanzata congiunta dei ribelli eritrei e tigrini, guidati dall'attuale Primo Ministro etiope Meles Zenawi. Il colonnello è fuggito in Zimbabwe, accolto dal presidente Robert Mugabe, suo amico personale. Mengistu vive tuttora in esilio ad Harare, e sinora Mugabe ha espresso la propria contrarietà all'estradizione.