POLITICA & SOCIETÀ

La beffa delle pensioni d'oro

ANDRUCCIOLI PAOLO,

Il contributo di solidarietà del 3% sulle pensioni d'oro, superiori ai 5mila euro al mese, è a rischio. Un emendamento alla finanziaria presentato dal relatore Gianfranco Morgando (Margherita) propone infatti di sopprimere il comma della manovra che, nella stesura originale della finanziaria per il 2007, inseriva il contributo in un quadro coerente di rivisitazione di tutto il sistema di versamenti previdenziali anche in vista di possibili accorpamenti dei vari enti (Inps, Inpdap, Inpdai e altri).
Il contributo sulle pensioni d'oro (che in media oscillano sui 45 mila euro all'anno) avrebbe dovuto essere inserito quindi in un complesso di interventi che vanno dall'aumento del contributi previdenziali degli artigiani a quello per i parasubordinati (facendo pagare però l'aumento anche alle aziende). Ora però la direzione che sta prendendo la manovra - almeno sul fronte delle pensioni - sembra tutt'altra.
Il discorso è complesso ma anche delicato visto che investe direttamente interessi elettorali. Ricostruendo i passaggi alla base della presentazione dell'emendamento del relatore alla finanziaria, sembra che la maggioranza di governo (o almeno una parte di essa) abbia il timore di esporsi troppo dal punto di vista degli interessi sociali che va a toccare. In questo caso però non si tratta certo degli interessi di grandi masse popolari visto che le pensioni d'oro sono una prerogativa di pochi privilegiati e in quanto tale (come privilegio ristretto e circoscritto) pesano in modo relativo sulla spesa generale. Una parte della maggioranza di governo teme quindi di scontentare tutti i pensionati «gold» che se in media valgono 45 mila euro all'anno vuol dire che arrivano a toccare vette ben più alte, sicuramente molto distanti dalle pensioni «normali».
Pensioni d'oro che non hanno davvero niente in comune con le pensioni future di tutti quei parasubordinati che avranno cedolini intorno al 30% delle ultime retribuzioni. L'altro elemento che lascia quantomeno perplessi riguarda il rapporto tra i vari istituti previdenziali. E' proprio l'ente che si occupa delle pensioni dei dirigenti aziendali, l'Inpdai, che sconta un deficit intorno ai 2 miliardi di euro. Un abisso che dal fondo dei dirigenti alla fine si va a scaricare sul fondo pubblico dei lavoratori cioè sull'Inps.
Così al danno la beffa: i lavoratori privati non hanno alcun beneficio dalla manovra sui contributi, si toglie il contributo richiesto alle pensioni d'oro e il deficit accumulato proprio dai dirigenti aziendali si scarica sull'Inps. Un bel colpo dal punto di vista dell'equità.
Intanto si accelera sulla riforma della previdenza complementare che il ministro del lavoro Cesare Damiano ha voluto anticipare rispetto ai tempi previsti dal suo predecessore, Roberto Maroni. Oltre alle novità che dovrebbero riguardare l'introduzione nella stessa finanziaria delle misure sullo sganciamento del Tfr e la compensazione alle imprese, ora si procede spediti anche sulle norme e le regolamentazioni. Sempre ieri, infatti, è stata chiusa la partita sulla Covip, la commissione di vigilanza sui fondi pensioni che in questi ultimi mesi ha subito vari scossoni. Ora è tutto pronto, il presidente della Covip, Luigi Scimia, ha firmato ieri il regolamento che definisce il suo ruolo e soprattutto le procedure per adeguare alle nuove norme tutte le forme di previdenza complementare: i fondi pensione chiusi, i fondi aperti e le polizze delle assicurazioni.

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