INTERNAZIONALE

«Se l'Etiopia attacca la Somalia, siamo pronti a contrattaccare»

MANFREDI EMILIO,Mogadiscio

Il pick-up rosso marcia lento in mezzo a Jidka Mika al-Mukrama. Almeno dieci ragazzini, seduti sui bordi del cassone scoperto, puntano i kalashnikov sulla strada. In piedi, accanto a loro, un uomo in mimetica muove piano il mitragliatore cinese calibro 50 montato sul treppiede. Destra, sinistra, a monitorare tutta l'ampia carreggiata nel quartiere di Hurwhay, Mogadiscio nord, a pochi passi da uno degli uffici più importanti dell'Unione delle corti islamiche, il movimento politico-religioso che controlla la Somalia centro-meridionale. Al margine del viale, tra le pozze di fango prodotte dalle forti piogge cadute ieri sulla capitale somala, un piccolo suq ricavato con rami secchi e pezzi di plastica offre sui suoi banchi pochi, basilari, generi alimentari. Seduto accanto, su una pietra forata dai proiettili, un lava-macchine ascolta le ultime notizie provenire da una vecchia radio. Torso nudo, ciabatte di plastica e pantaloni stracciati, Mohammed scuote vigorosamente il capo. «Sto ascoltando Radio Shabelle, parlano dell'Etiopia. Ha dichiarato guerra alla Somalia, al nostro governo islamico», spiega l'uomo. «Ma noi finalmente abbiamo ritrovato tranquillità e, inshallah , il nuovo governo ci restituirà anche un paese unito. Se gli etiopi vogliono la guerra, siamo pronti a difenderci», conclude il giovane, agitando le braccia. E stavolta davvero, la tanto temuta guerra nel Corno d'Africa sembra alle porte. Ieri mattina, infatti, il primo ministro etiope Meles Zenawi, intervenendo davanti al Parlamento di Addis Abeba, ha dichiarato: «Gli islamisti di Mogadiscio, che hanno proclamato il jihad contro il nostro paese, rappresentano un chiaro pericolo. Il popolo etiope deve difendersi da questa minaccia». Secondo un parlamentare dell'opposizione etiope, contattato al telefono dal manifesto in condizioni di anonimato, si tratta del «preludio alla dichiarazione di guerra». Il ministro dell'Informazione di Addis Abeba, Berhanu Hailu, ha tentato ripetutamente di calmare le acque. «Non c'è nessuno stato di guerra. Il primo ministro spera di risolvere le differenze pacificamente. Il governo ha solo chiesto all'assemblea, se ciò non fosse possibile, di consentire al paese di difendersi». Ma l'atmosfera pare ormai troppo arroventata, il conflitto sembra inarrestabile e la possibilità di fare intervenire una missione di peacekeeping africana in Somalia, come sostenuto ieri dal Dipartimento di Stato americano, riesce solo a risvegliare brutti sogni sopiti un decennio fa, ai tempi della missione Onu. Incubi che si risvegliano passando, nei pressi del quartier generale delle Corti, nell'incrocio in cui, a quei tempi, sorgeva il Check point Pasta. Oggi, invece del posto di blocco dove i caschi blu italiani furono vittima di un'imboscata, restano solo alcuni sacchi di sabbia e qualche bomba inesplosa vicino a un banchetto di frutta. Intorno, nella sabbia sollevata dal vento secco, una miriade di ragazzini, onnipresenti a ricordare come oltre il 45% della popolazione del paese abbia meno di 14 anni. Per la maggioranza analfabeti e senza famiglia, senza un programma di reinserimento nella società continueranno a rappresentare una minaccia per la stabilità interna della Somalia. Per accedere all'ufficio del Prof. Ibrahim Addow, ministro degli affari esteri delle Corti Islamiche somale, si deve passare proprio per un lento controllo di un gruppo di giovanissimi miliziani. Il ministro è un uomo esile, sulla cinquantina, occhialini rotondi da intellettuale e la kufiah rossa di chi ha fatto il pellegrinaggio alla Mecca. «L'Etiopia è l'origine del problema. Hanno invaso il nostro territorio con le loro truppe. L'Onu parla di ottomila soldati di Zenawi in Somalia. Ma saranno almeno ottantamila. E ora Addis Abeba afferma che le Corti Islamiche sono un pericolo per loro e per il mondo intero. Raccontano che da Mogadiscio staremmo preparando attentati suicidi contro Addis Abeba e Nairobi». Addow sorride a lungo prima di continuare, attorniato da segretari e vice-ministri. «Sono solo bugie. Propaganda. Organizzeranno loro stessi gli attacchi per poi dire: vedete, le Corti stanno attaccando il mondo! Menzogne. Noi siamo musulmani, crediamo nel Corano. La guerra santa che abbiamo lanciato contro l'Etiopia, è una guerra difensiva, per liberare il nostro paese. Non attaccheremo obiettivi civili», spiega in un ottimo inglese Addow, un passato da insegnante universitario negli Stati uniti. «L'Etiopia vuole controllare la Somalia. Sapendo che non possono occuparla, cercano di governare frammentando il paese in piccoli feudi sotto il loro controllo. Divide et impera. L'unica soluzione è il ritiro immediato delle truppe etiopiche. È l'unico passo per fermare la guerra e riprendere il dialogo. Se invece sarà guerra, siamo pronti a contrattaccare».

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