LA PAGINA 3

Casa Italia tra le rovine della capitale coloniale

MANFREDI EMILIO,Mogadiscio

«Il mio italiano non è buono come una volta, ma non mi era più capitato di parlarlo dal 1992», scherza Omar Ali, sistemandosi gli occhiali sul naso. «Allora c'erano i militari italiani a pattugliare questa zona. Poi sono andati via, e fino ad oggi non ho visto più nessuno», prosegue l'anziano, facendo forza sul bastone per entrare nel mercato del pesce Danqulmis, quartiere di Shangani, nella zona nord di Mogadiscio. Qui una volta c'era il centro politico e diplomatico della capitale della Somalia. Camminare per la zona di Shangani è insieme un viaggio in una capitale coloniale abbandonata e una passeggiata sul set di un film di guerra. L'automobile con i vetri oscurati passa veloce accanto a una città che fu, mentre una luce abbagliante rende l'atmosfera ancora più ovattata. Un edificio bianco compare improvvisamente, mentre la strada scende verso il mare. Era il parlamento somalo, oggi è solo un palazzotto scrostato, semidistrutto, i muri che un giorno furono bianchi. Di fronte, la grande moschea della capitale, intera ma assolutamente vuota. Ancora più vicino all'Oceano, una serie di grandi monumenti di cemento, traforati dai tiri d'obice, ricordano il regime socialista di Mohammed Siad Barre. Poi, parallela al mare, si percorre Katka Agaran, in somalo «linea verde». La linea del fronte che divideva Mogadiscio Nord e Sud. Una delle zone dove più feroce si è combattuta la guerra per il potere tra le milizie del generale Aidid e quelle di Ali Mahdi, negli anni '90. La zona dell'ambasciata italiana, del Banco di roma, di Casa Italia. Edifici a molti piani, esempio di architettura fascista, completamente sventrati dai tiri di cannone e artiglieria pesante. Tutta l'area è completamente disabitata, vuota. Solo alcuni operai, in una calura tremenda, lavorano alla rimozione di cumuli di macerie.
Entrando in quello che una volta fu l'androne di un palazzo, superando montagne di calcinacci, si arriva a uno slargo di almeno un chilometro quadrato, senza anima viva. Al centro del piazzale, un arco di trionfo. A Umberto di Savoia, romanamente. Ancora più avanti, si varcano le rovine dell'Hotel al-Huruba, costruito accanto al Museo Mussolini. Una città coloniale italiana sepolta sotto anni di guerra e feroci combattimenti. Poi, di colpo, dalle macerie solitarie e inquietanti, compare il mare, e il vecchio porto. Piccole barche di pescatori bambini che portano a riva pesce-spada e molluschi. Piano si forma una piccola folla, inimmaginabile sino a un attimo prima. Compaiono uomini e donne velate. «Vengo qui ogni giorno, da sempre. Da quando sono andati via i caschi blu italiani, non si è più visto un bianco», racconta Riccardo, trent'anni, occhi spiritati e origini nostrane. «Benvenuti». Poi, d'improvviso, l'atmosfera cambia. «Bisogna andare via, subito», dice Abdirahman, un miliziano delle Corti Islamiche, con la mano sulla pistola. L'automobile sfreccia veloce tra i palazzi distrutti. Mogadiscio nord, 15 anni dopo, è ancora un luogo off-limits. E. Man.

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