STORIE

El Salvador, le malattie della sinistra

reportage Centramerica, una faticosa democrazia
BERETTA GIANNI,di ritorno da San Salvador

È un venerdì mattina presto; il torpedone della King Quality percorre spedito i saliscendi e le curve della carrettera che porta da Tegucigalpa a San Salvador. La stagione delle piogge, iniziata appena un mese prima, ha già rinverdito la vegetazione. Non sembra quasi vero potersi gustare in tutta tranquillità, dal piano superiore del bus e rinfrescati dall'aria condizionata, i lussureggianti scenari dell'istmo centroamericano. Negli anni Ottanta e Novanta, durante le guerre che insanguinavano la regione, le linee degli sgangherati Bluebird si limitavano al trasporto locale fino e non oltre le frontiere. Ogni spostamento via terra doveva essere ben pensato. Da un paese all'altro l'aereo era pressoché d'obbligo.
Sono ormai le nove e, dopo un rapido sguardo ai passaporti, stiamo lasciando l'Honduras per entrare nel formicaio salvadoregno, quando la hostess annuncia che gli accessi a San Salvador sono impediti da manifestazioni di protesta. Abbandoniamo allora la panamericana e facciamo un largo giro per la litoral che costeggia il Pacifico. Tre ore più tardi, giunti alle porte della capitale, si forma una lunga fila di veicoli. Ma la coda scorre; il blocco del transito sta per finire. Nel punto di semi-ostruzione della strada riconosco in prima fila alcuni ex leader guerriglieri del Frente Farabundo Martì de liberacion nacional (Fmln, oggi deputati in parlamento). Fra essi Salvador Ceren (comandante Lionel). Distribuiscono volantini ai passanti e gridano slogan al megafono sullo stato di prostrazione economica della popolazione.
I salvadoregni sono lievitati a sette milioni in un fazzoletto di terra che registra una fra le più alte densità di abitanti al mondo. Sono noti in ogni dove per essere particolarmente operosi; del resto, se non lo fossero, come potrebbero sopravvivere? Un altro milione e mezzo è emigrato, soprattutto negli Stati uniti e con le loro rimesse mantengono la propria e l'intera economia nazionale. Si calcola che alla fine di quest'anno tale flusso supererà i tre miliardi di dollari, coprendo l'intero deficit fiscale. Ma il prezzo da pagare è la disgregazione dei nuclei familiari, con il conseguente disagio dei giovani e il crescere a dismisura delle loro bande (le maras, nate a Los Angeles nella decade scorsa e trapiantatesi nell'istmo grazie a imberbi deportati centroamericani).

Microdelinquenza diffusa
Se si volesse avanzare una riflessione a posteriori sulle ragioni che generarono la passata guerra civile (finita con un pareggio militare, al prezzo di 70.000 morti) e un bilancio dagli accordi di pace del 1992, si potrebbe dire che oggi non capita quasi più che un salvadoregno venga eliminato per le proprie idee politiche; ma rischia quotidianamente, soprattutto nelle città, di rimanere vittima della micro-delinquenza diffusa o della criminalità organizzata. In quanto a sussistenza, fa la fame quanto e forse più di allora (quando circolava il colon, soppiantato dal dollaro); e con il problema della terra (la tanto promessa riforma agraria) ancora tutto da risolvere.
Il caso ha voluto che questo mio passaggio per San Salvador abbia coinciso con uno dei momenti di maggior tensione registratisi dalla fine della guerra. Due giorni prima, durante una dimostrazione studentesca contro il carovita nei pressi dell'Università El Salvador (Ues), si erano registrati due morti e dieci feriti da arma da fuoco. Solo che stavolta, a differenza del passato, gli impallinati erano tutti effettivi antisommossa della nuova Policia nacional civil (Pnc che, come previsto negli accordi di pace, sostituì la malfamata polizia militare anche con pezzi della ex guerriglia). Cosa poteva essere successo? La destra Alianza republicana nacionalista (Arena, al governo) ha subito parlato di «orchestrazione dei disordini» ad opera del Fmln, che a sua volta si è smarcato da ogni responsabilità. Il problema è che un video (ripetutamente trasmesso da tutte le tv) ha inequivocabilmente incastrato un ex consigliere comunale del Fmln (Josè Belloso, del municipio metropolitano di Mexicanos) che imbraccia in posizione di tiro, ginocchioni, un fucile mitragliatore M-16; mentre un suo compagno (Luis Herrador, subito arrestato) gli tiene le spalle come per ammortizzare il rinculo dell'arma. Lo sconcerto si diffonde in tutto il paese. Il crimine ha persino del premeditato; tanto più che la polizia aveva l'ordine di non sparare; e non ha sparato. Il Fmln è in evidente imbarazzo e disorientato. Telefono a Tilo Sanchez, un ex prete guerrigliero di vecchia conoscenza, per chiedergli spiegazioni. Mi risponde che mercoledì alla Ues c'era, e che secondo lui «la dinamica degli eventi deve essere meglio investigata». Solo un paio di giorni dopo Salvador Ceren dichiarerà a denti stretti (e senza riconoscere che fossero propri militanti) che «se i due sospettati sono colpevoli dovranno pagare».
I repentini blocchi stradali, indetti e gestiti personalmente da deputati e sindaci del Fmln, hanno assunto così il sapore di chi ha cercato di girare pagina quanto prima per rimettere al centro i problemi della gente. Ma il danno è stato fatto; e un clima di generale costernazione si impone durante i contemporanei funerali dei due giovani agenti; mentre sulla testa del fuggitivo Belloso (ancora oggi profugo della giustizia) viene imposta una taglia di 10.000 dollari.
La destra governa in El Salvador senza soluzione di continuità dal 1989. Ad ogni appuntamento con le urne gli elettori, mentre insediano rappresentanti del Farabundo Martì nell'amministrazione della capitale e nelle principali città, quando arriva il momento di scegliere il capo dello stato optano per il candidato di Arena. Come spiegare questa contraddizione? A parte le prime e assai peculiari elezioni di transizione post-guerra del 1994, alle presidenziali del '99 e nel 2004 il Fmln ha candidato ex illustri comandanti guerriglieri perdendo sempre nettamente. Non senza aver bocciato prima in entrambe le occasioni l'aspirante ideale della sinistra dato per vincente da tutti i sondaggi: l'ex (per due volte di fila, più che dignitoso) sindaco di San Salvador, il medico Hector Silva, membro del Fmln e leale alleato politico durante tutto il conflitto; che aveva però forse il difetto di non aver mai imbracciato un'arma e sicuramente di non essere sufficientemente ortodosso. Il dottor Silva sarebbe stato in grado di attrarre i consensi dei settori moderati del paese; che aborriscono la mortifera polarizzazione Arena-Fmln, che fa soprattutto il gioco della destra stessa con quel suo aleggiare i fantasmi del «totalitarismo cubano». Ma per quale incomprensibile ragione all'interno del gruppo dirigente del Fronte ha prevalso il timore di una pregiudiziale «inaffidabilità» di Silva, che avrebbe guidato comunque un governo controllato strettamente dal Fmln?
Nelle ultime presidenziali del 2004 il Fronte è giunto a candidare il suo numero uno: l'anziano comandante Schafik Handal, storico segretario del Partito comunista salvadoregno. Qualcuno a sinistra ebbe a dire: «E' il servizio migliore che si possa fare agli areneros». E così fu. Non solo: da quel momento è iniziata un'erosione della rappresentanza in parlamento e a livello dei municipi amministrati dal Fronte. La stessa San Salvador, lo scorso anno, è rimasta per un soffio in mano della sinistra, con Arena che (dopo qualche dubbio iniziale) ha fatto pure la bella figura di accettare democraticamente la sconfitta per una trentina di voti.
Nel gennaio scorso, di ritorno dall'insediamento di Evo Morales in Bolivia, Schafik è stato colpito da un infarto che gli è stato fatale. La sua scomparsa ha lasciato un grande vuoto nel Fmln; ed ha riaperto la scontro sulla linea politica. C'è chi si sente orfano di un leader che ha generosamente dedicato una vita intera alla lotta per liberare il proprio paese; ma che, firmata la pace, ha cocciutamente osteggiato il rinnovamento, quasi che il conflitto politico-militare non si fosse concluso. Col risultato di un impoverimento del partito e l'emarginazione, o l'abbandono, di fior di dirigenti (Salvador Samayoa, Facundo Guardado, l'intera formazione dell'Erp). C'è chi invece sostiene (fra essi l'ex comandante Oscar Ortiz, apprezzato sindaco di Santa Tecla) che dopo aver tentato invano per due volte di battere la destra da soli, sia venuta l'ora di imboccare la strada di un'alleanza aperta alle forze democratiche minori.
Anche in El Salvador si ripropone dunque aspramente la diatriba fra «radicali» e «moderati» (ma forse sarebbe meglio dire fra «conservatori» e «rinnovatori») che attraversa la sinistra ad ogni latitudine. In questa chiave può essere interpretato il tragico episodio dei due agenti uccisi il 5 luglio scorso, che se pur ha offuscato pesantemente l'immagine del Fmln (l'ennesimo regalo ad Arena) può essere servito a chi nell'ex guerriglia intendesse mettere l'intero gruppo dirigente di fronte al fatto compiuto di un inasprimento dello scontro.

Il leader del Frente
L'ipotesi viene avvalorata l'indomani, sabato, in una chiacchierata a pranzo con Ruben Zamora, uno dei massimi leader di quello che fu il Frente democratico revolucionario (Fdr), alleato del Fmln durante la guerra. Era stato lui nel '94, subito dopo il conflitto, il primo e ultimo candidato presidenziale unitario delle forze democratiche. Mestamente mi dice che sono almeno un paio gli incipienti gruppi armati clandestini che si muovono nell'orbita del Fmln; chissà forse animati anche dall'ondata chavista latinoamericana: come se il venezuelano Chavez si perdesse a distinguere fra sinistra più o meno verace, nel promettere quel petrolio a condizioni di favore che in Centro America (pur di destabilizzare il cortile di casa degli Usa) offre anche ai governi di destra dell'Honduras e del Guatemala.
Lasciando la casa di Ruben, nel quartiere di Vista Hermosa, viene da chiedersi come figure di prestigio e lunga esperienza di lotta come lui, come Hector Silva, come Dada Hirezi, per citare i superstiti più noti (nel senso di sopravvissuti allo squadrismo d'un tempo) siano anch'esse confinate ai margini della scena politica salvadoregna.
Mi ritrovo così, sconsolatamente, di fronte all'analoga situazione nel Fronte Sandinista del vicino Nicaragua: con l'emorragia in questi anni (per espulsione o ritiro volontario) di quadri e dirigenti preziosi della passata rivoluzione; disincantanti o vittime, più che dei propri errori, di una gestione settaria e personalistica del partito. E che se per giunta, quando si sono avventurati in qualche progetto politico alternativo, hanno finito col subire gli strali del tradimento.
Verrebbe da dire che due popoli, provati quanto combattivi come i nicaraguensi e i salvadoregni, siano di fatto ostaggi dell'ostinazione di antichi comandanti guerriglieri.
La domenica riprendo prestissimo un bus per proseguire per Città di Guatemala. Voglio arrivare nel primo pomeriggio, in tempo per godermi la finale dei mondiali di calcio a casa di un amico ticinese, ex guerrigliero della Urng. E' di buon auspicio visto che l'ultima volta che vinse l'Italia, nel 1982, eravamo entrambi da queste parti.
All'uscita verso nord di San Salvador il torpedone imbocca una rotonda appena inaugurata in onore del famigerato maggiore Roberto D'Aubuisson, che molto tempo prima di fondare il partito Arena, aveva costituito e diretto gli squadroni della morte. Ai piedi del monumento sono impressi tre suoi motti famosi; uno di essi recita: «Sii patriota, uccidi un prete». Qualche centinaio di metri più in là, già nel municipio di Santa Tecla, un'altra piazza altrettanto recentemente intitolata all'obispo de los pobres Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador: morto assassinato, mentre celebrava messa, il 25 marzo 1980 per ordine di quel «macellaio» maggiore che morì di cancro alla lingua dodici anni dopo.

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