BOBA SILVIA,

Alcuni anni fa era in voga, anche dalle nostre parti, un neo keynesismo tutto basato sul deficit spending: anticipate liquidità, era il motto, e vi sarà data la crescita con un meccanismo virtuoso di investimenti, occupazione, consumi. Poi a qualcuno venne in mente che non vi era alcun automatismo in questo percorso se non altro perché Keynes aveva detto anche altre cose: se non altro sarebbero da rileggere i puntuali commenti che l'economista faceva alla presentazione dei resoconti annuali della Banca d'Inghilterra, dove si teneva poco conto della teoria, ma molto della capacità politica di affrontare i problemi così come li presentava la vita quotidiana con i suoi molteplici protagonisti.
Ma soprattutto Keynes ragionava in termini di economia nazionale, chiusa, dove quello che metto in un modo o in un altro lo ritrovo, e dove dispongo di leve per orientare i movimenti della ricchezza. Oggi anche la dimensione europea dovrebbe considerarsi «nazionale», ma sappiamo che così non è e che ci si è ritirati proprio quando i protagonisti si sono resi conto che perdevano il loro potere di intervento.
E qui siamo al punto: che cosa suggeriamo oggi di fare per mobilitare il risparmio, e in quale direzione? Abbiamo perso tempo e forze. Abbiamo taciuto troppo a lungo sull'elogio della globalizzazione di tutto, in primis naturalmente i soldi che si sono «delocalizzati! senza ritorno. Abbiamo taciuto troppo a lungo sull'esaltazione di un'economia che si faceva capofila della moda, scarpe, vestiti eccetera; quanti soldi sono stati spesi per crogiuolarsi in questo giuoco che può dissolversi ad un soffio di vento (o di guerra). E pochi hanno condiviso (con me) la diffidenza per la «economia di carta». Per non parlare dell'esaltazione del turismo sia pure «culturale» sfruttando una risorsa che consideravamo inesauribile. E l'elenco porrebbe continuare a lungo.
Adesso converrebbe concentrarci su questo «reale» con qualche analisi sugli strumenti che ci rimangono, al di là della mitica leva fiscale, un po' disastrata nel nostro paese. Forse anche il movimento per l'occupazione, ne ricaverebbe una spinta. Nel frattempo qualche proposta è stata avanzata: e parliamo del documento di Bersani allegato al disegno di legge sull'innovazione. Vi è il pericolo che venga inteso come puro scenario competitivo:in cui la Confindustria tenderebbe a ridurre tutto sul piano dei costi per l'impresa.
Ma anche prediligendo il settore manufatturiero (cosa che non mi scandalizza) vi è un mare di questioni da discutere: la manifattura può essere anche «nano» e comprendere i relativi servizi e fare quindi appello a lavoratori qualificati e pagati «un po' meglio» dei coglitori di pomodori che fra l'altro non sono neppure prodotti (i pomodori) nel nostro paese.
Suggerisco che il giornale ne segua alcuni, nel dettaglio. Aprendo qualche prospettiva.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it