CULTURA

L'ombra del Grande Timoniere, metamorfosi in corso

DI GENOVA ARIANNA

Ce ne sono per tutti i gusti: sculturine-gadget da vendere ai turisti, come il Mosé di Michelangelo o sagome bruciacchiate di cui resta solo un'impronta. Le icone di Mao, rivissute oggi da venti artisti cinesi contemporanei, a trent'anni dalla morte del padre della Rivoluzione culturale, si lasciano alle spalle la serialità della pop art e inventano nuove formule, spaziando dalla tradizionalissima calligrafia su carta di riso all'installazione più spericolata.
Ecco allora che MaiMao, mostra collettiva alla Fattoria di Celle-Collezione Gori, presso Santomato (Pistoia, fino al 23 settembre), che proseguirà il suo viaggio all'Orangerie di Parigi, racconta la storia di un'immagine al di fuori della propaganda, con un approccio spesso ironico, azzerando d'un tratto la galleria di ritratti e delle riproduzioni commerciali del Grande Timoniere che siamo abituati a vedere, dal negozietto di antiquario di Pechino fino ai mercatini delle pulci occidentali. D'altronde, quando il 3 giugno scorso, presso Huanchen a Pechino, venne battuto all'asta l'originale del ritratto di Mao sospeso a Tiananmen, nessuno dei banditori osava toccare il quadro: tutti indossavano guanti bianchi in segno di rispetto. Ma oggi c'è anche chi, come l'artista Zhang Qi Kai, punta un esercito di bamboline tipologia Barbie contro l'effigie del presidente e tenta un assalto impossibile contro la sua memoria, escoriandone la solidità.
Il progetto della mostra - a cura di Giacomo Rambaldi e Lina Lopez - ha avuto una lunga gestazione. All'inizio è stata scelta l'immagine che più si sarebbe prestata alla manifestazione: è stata così impalmata una statua in ceramica bianca trovata a Pechino. Per le sue caratteristiche «anonime», concedeva il massimo della libertà interpretativa a ciascun artista chiamato all'arduo compito di una «ricontestualizzazione». Una volta fotografata la matrice e consegnata agli autori, si è discusso con loro per intrecciare diversi punti di vista e promuovere uno scambio fecondo di idee. Venti gli artisti «eletti», dopo molto cercare, su oltre cinquanta interpellati, cui si è poi data carta bianca per il lavoro di consegna. Nessun limite se non quello di prendere le mosse dall'immagine - quella vera e quella introiettata come totem individuale o collettivo - di Mao. Qualcuno lo ha inserito, senza troppo timore reverenziale, dentro il flusso del consumismo contemporaneo, icona al pari della coca-cola o della Tour Eiffel, simboli di un'epoca. Qualcun altro ne ha vanificato il ritratto, lasciandolo sullo sfondo, come fosse ormai un'ombra del passato. Jin Juan, invece, è partito da Mao per rappresentare il dedalo urbanistico della Cina contemporanea, laboratorio impazzito di moderno e antico, biciclette e motori ruggenti ultimo modello portati in patria da un capitalismo aggressivo. Chang Neng fa un collage del personaggio alla maniera del costruttivismo russo, alludendo alle consonanze e rotture dei due universi comunisti. E, per alleggerire il peso della storia cinese e la profondità del personaggio, campeggia pure in mostra una Miss Mao, inquietante scultura che in un patchwork di culture, propone un corpo ermafrodito, un volto da clown-pinocchio, un atteggiamento fumettistico. Il busto di Mao, col braccio destro alzato e la frontalità ieratica che contraddistingue in genere le rappresentazioni degli dèi viene qui «scomposta» da una risata buffonesca, dal piglio di un giullare pronto a sovvertire ogni potere costituito.

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