INTERNAZIONALE

Somalia, l'offensiva islamista

MANFREDI EMILIO,

Ieri centinaia di persone si sono affollate intorno ai moli del porto di Mogadiscio. Dopo 11 anni, una nave è finalmente attraccata. Pare continuare frenetica l'attività delle Corti islamiche nella capitale. Dopo avere riaperto al traffico civile l'aeroporto, giovedì gli islamisti - che hanno riportato sotto il controllo di un'unica autorità la capitale somala dopo 15 anni - erano riusciti a fare riprendere le attività anche al porto internazionale. I signori della guerra avevano più volte annunciato la riapertura del porto, senza poi trovare un accordo tra loro. Lo scalo era rimasto chiuso e le navi avevano continuato ad attraccare 30 km più a nord, nel porto di El-Mann.
Per questo le milizie islamiche, nelle scorse settimane, avevano ripreso sotto il controllo di alcune cittadine costiere a nord della capitale, note per essere base dei pirati che attaccavano le navi in transito.
Prosegue insomma il tentativo di toglierle l'etichetta di «Stato senza legge» alla parte di Somalia sotto il loro controllo. A breve i miliziani si trasformeranno in un «esercito» vero e proprio, con tanto di uniformi. Si parla anche della riapertura del vecchio campo di addestramento militare di Hiilweyne, 20 km a nord della capitale, attivo ai tempi di Siad Barre e ora, secondo alcune fonti, zeppo di istruttori militari eritrei e afghani.
Sul fronte dell'ordine interno, invece, ha avuto risalto la punizione inflitta a una donna, rea di portare con sé pochi grammi di marijuana. Uno dei capi delle Corti, Sheikh Hassan Dahir Aweys, è stato chiaro sui motivi ispiratori del diritto, proprio alla cerimonia di riapertura del porto. «Nessuno può farci seguire una strada diversa da quella della legge islamica, la sharia», ha dichiarato lo sceicco, che poi è ritornato su uno dei temi più scottanti per il futuro delle trattative di pace con il governo federale di transizione, con sede - oramai unica - a Baidoa: la presenza di truppe etiopiche in Somalia.
Aweys ha ribadito il rischio di una «guerra su larga scala», in caso di mancato ritiro delle truppe mandate da Addis Abeba a difendere il debole Tfg. «Noi ribadiamo che l'intervento etiopico in Somalia non sarà mai accettato», ha detto ancora Aweys, uno degli intransigenti all'interno delle Corti. L'avvertimento è arrivato mentre le milizie islamiche delle Corti stavano avanzando verso nord, in direzione della regione di Mugud, nella Somalia centrale.
Andare così a nord, per gli islamisti, equivale a mostrare i muscoli ad un altro attore importante sullo scenario somalo: la regione semiautonoma del Puntland, da cui peraltro proviene il presidente del Tfg, Abdullahi Yusuf (che nelle prossime settimane potrebbe arrivare in Italia nell'ambito di un tour europeo). Ora il Puntland è presieduto da Mohamud «Adde» Muse, uomo vicino a Yusuf e alleato del governo etiopico, con cui fa affari (parte del traffico merci marittimo verso l'Etiopia passa infatti dal porto di Bosaso). «Il Puntland non attaccherà nessuno, ma si difenderà da qualsiasi attacco», ha dichiarato «Adde» all'agenzia di stampa somala Garowe, parlando da Galkayo, la capitale della regione di Mugud. Il presidente si trovava nell'area per verificare le linee difensive del suo «Stato», insieme a 250 militari etiopici, arrivati in appoggio dei suoi miliziani.
La tensione tra Corti e Puntland sale. Da Mogadiscio gli islamisti hanno minacciato di attaccare il Puntland, se le milizie del presidente «Adde» non si ritireranno.
Alla fine, nell'alternarsi delle notizie, il dato più chiaro è che aumentano le truppe etiopiche di stanza in Somalia, azzerando il significato politico delle smentite di Addis Abeba. «L'Etiopia è l'Israele del Corno d'Africa, e noi non le permetteremo di immischiarsi nei nostri affari interni», ha affermato Sheikh Aweys.

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