VISIONI

A Latinoamericando si gioca con la charanga

LORRAI MARCELLO,Milano

Chi scende, chi sale, chi si mantiene in un magico equilibrio.
Chi è sceso a precipizio, nella musica cubana da ballo di oggi, è - lo si dice con la morte nel cuore - Los Van Van: per il secondo anno consecutivo, senza Juan Formell, al festival Latinoamericando Van Van è apparso in piena crisi di identità: ora risulta un gruppo sostanzialmente di timba, senza infamia e senza lode, senza quella freschezza e quella originalità che Van Van era sempre riuscito a mantenere, una formazione che, immemore dei grandi classici di Van Van, spariti dal repertorio, affida la parte vocale di brani ordinari a cantanti senza fascino, e fa rimpiangere Pedrito Calvo (rivisto a Latinoamericando nella serata dedicata ai Cuban's Grammy: ma lì l'opportunità di vedere, anche se solo per qualche minuto, una vera leggenda come il conguero Tata Guines, ormai un vecchietto, faceva impallidire tutte le altre presenze).
Ma la favola bella di Van Van è pur sempre durata una quarantina d'anni. Afflitto da problemi di salute, e da tempo stanco di viaggiare in continuazione, Formell ha, se non abdicato, delegato i poteri al figlio batterista: il quale però non sembra fare tesoro della grande lezione del padre, che aveva avuto l'intuizione di ritenere il formato della charanga (i complessi basati su violini e flauti), che, variamente riveduto e corretto, era allora già sopravvissuto a diversi passaggi d'epoca nella musica cubana, ancora spendibile per una musica innovativa. E come era spendibile negli anni sessanta, così lo è ancora oggi.
Chi per esempio è salito con decisione, nella musica da ballo cubana di oggi, è il Trabuco di Manolito Simonet, nel quale, con tromba, tromboni, contrabbasso, violoncello, violino, flauto (oltre ovviamente a tastiere, batteria e percussioni), gira e rigira ritroviamo un'ennesima reincarnazione della gloriosa charanga. Il repertorio del Trabuco di Simonet è elegantemente vario: fra timba non sclerotizzata, jazz, funky, Manolito può permettersi anche di sfiorare intelligentemente, senza scadere nel tormentone, il reggaeton, e può concedersi senza scadere incursioni romantiche nel passato come col classico Como fué... però de ti me enamoré. Fino al bis con l'hit Marcando la distancia. L'orchestra sa intrattenere, ma si capisce che a Manolito interessa ovviamente fare spettacolo, perché queste sono le regole del gioco, ma soprattutto fare musica. Al punto che sabato scorso le ragazze cubane assiepate sotto il palco di Latinoamericando, sperando che qualche fortunata fra loro fosse, come succede abitualmente, invitata in scena a ballare, sono rimaste a bocca asciutta: clamoroso.
Chi mantiene una miracolosa dignità è Aragon. Non tutte le trasmissioni dinastiche del potere a Cuba sono malvage come quella tra Formell padre e Formell junior: Rafael Lai è il figlio del primo direttore musicale di Orquesta Aragon, e la gloriosa formazione, sessant'anni e rotti di vita, nelle sue mani gode di ottima salute. Con giovani e anziani impegnati a tenere alto il nome della compagine, l'impasto di violini e flauto è impagabile e la sublime leggiadria de El Bodeguero rimane sempre un'esperienza mistica. Il repertorio però non è fossilizzato: al posto del contrabbasso c'è, per quanto misurato, un pulsante basso elettrico e Aragon sacrifica volentieri, con garbo, alla timba e alle tendenze più recenti. Ma tenendo dritta la barra.
Lai junior non ha dubbi: «Los Van Van è nato come charanga, Manolito y su Trabuco è una charanga, la Charanga Habanera in un primo momento era appunto una charanga - dice Lai - dunque a partire dalla charanga si continua a sviluppare nuova musica, non si può certo dire che la charanga sia caduta nel dimenticatoio. La charanga ha lasciato il segno nella musica da ballo cubana fin dalla prima metà del secolo scorso, e nella musica cubana continua ad esserci e ci sarà sempre qualche cosa che gioca sul suono della charanga. A noi di Aragon spetta il compito di conservare la charanga nel suo stato più classico. Però siamo capaci di stare al passo coi tempi. Anch'io temevo che cercare di rivolgerci anche al pubblico che segue la musica da ballo attuale potesse farci perdere il cammino che abbiamo fatto nella nostra storia: ma invece ci siamo accorti che riusciamo a sommare generazioni diverse». Attendiamo con impazienza il nuovo, imminente album di Aragon, in cui l'orchestra, tutt'ora amatissima in Africa occidentale, accompagna la cantante del Togo Afia Mala.
Diversi musicisti di Manolito hanno seguito rispettosamente l'esibizione di Aragon, e qualcuno è anche salito sul palco a dare manforte ai colleghi. Erano mescolati al pubblico anche martedì, quando Latinoamericando ha portato in scena una vera all stars: José Luis Cortés con la sua NG La Banda; i cantanti Manolin «el medico de la salsa» e Paulito FG, come Cortés esponenti di primo piano della timba, che alla lezione pionieristica del leader di NG devono molto; e il tastierista Pupi Pedroso, già colonna di Van Van, oggi leader di Los que son son; e diversi musicisti delle orchestre di Manolin, Paulito e Pupi. Cortés ha aperto con una travolgente Night in Tunisia: la sua sezione fiati, i temibili «los metales del terror», per una volta sono tornati a fare paura. Se Cortés, invece di trastullarsi in un intrattenimento da Club Mediterranée, come ha preso l'abitudine di fare, avesse la furbizia di mettere insieme una scaletta di dieci standard di jazz in salsa latina, i festival di jazz di tutto il mondo se lo contenderebbero.
Spregiudicati, disincantati, Cortés e Paulito sono dei grandi delle ultime generazioni che hanno scelto di rimanere a Cuba; Manolin da alcuni anni è espatriato a Miami. Festosa rimpatriata non senza un elemento politico, dunque: che dal palco non è stato affatto sottaciuto, e risolto in famiglia, in termini di comune, orgogliosa appartenenza alla cubania.

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