POLITICA & SOCIETÀ

Migranti, droga e recidiva: tre riforme urgenti per salvare l'indulto

SANTORO EMILIO,

L'indulto è stato sempre presentato dai suoi sostenitori come lo strumento più immediato per risolvere il problema della «detenzione sociale»: lo strumento attraverso cui correggere quel meccanismo che ha portato le carceri delle grandi città ad essere i più grandi centri di accoglienza per i senza fissa dimora, le più grandi comunità per tossicodipendenti, i più grandi reparti psichiatrici per sofferenti psichici, i più grandi centri di permanenza temporanea per migranti irregolari. Il giorno in cui sono cominciate le scarcerazioni, gli enti locali e gli organi periferici dello Stato sembrano essersi accorti che il territorio non ha più le strutture per accogliere i soggetti marginali. L'onda d'urto delle scarcerazioni provocate dall'indulto ha improvvisamente imposto alle comunità locali di farsi carico, almeno per qualche giorno, dei soggetti marginali e problematici. Si è diffusa la notizia che il governo avrebbe stanziato 30.000 euro per finanziare un piccolo piano di accoglienza per gli scarcerati
L'indulto era sicuramente indispensabile. Le condizioni delle carceri delle grandi città erano tali da impedire anche il minimo rispetto per la dignità delle persone recluse. Basti pensare che in molti casi in un cella di 9 mq ci sono due letti a castello e, in mezzo a loro, la notte viene aperta una branda per un quinto ospite. Ho visto condizioni di sovraffollamento peggiori solo in alcune carceri del nord-est del Brasile, dove hanno creato la figura del "detenuto pipistrello": una persona che vive in un'amaca appesa al soffitto perché nella cella non c'è spazio calpestabile.
Al di là della prima accoglienza, il problema è che per molti detenuti scarcerati l'indulto, senza modificare l'impianto normativo che ha provocato la "detenzione sociale", rischia di essere un boomerang, che nel breve periodo porterà conseguenze più dannose di quelle che sembra alleviare. Tre provvedimenti in particolare devono essere presi per non trovarsi tra alcuni mesi di fronte ad una situazione carceraria peggiore di quella su cui si è intervenuti con l'indulto: la depenalizzazione del reato, previsto dalla Bossi Fini, di mancata ottemperanza dell'ordine di allontanarsi dal territorio nazionale, l'abrogazione delle norme sulla recidiva contenute nella ex-Cirielli e di quelle della Fini-Giovanardi che trasformano ogni tossicodipendente in uno spacciatore.
L'ordine di allontanarsi dal territorio è impartito al migrante privo del permesso di soggiorno, quando non è possibile «imprigionarlo» in un centro di permanenza temporaneo né effettuare l'accompagnamento coattivo. Lo straniero che, a dispetto di quest'ordine, è rintracciato sul territorio nazionale è punito con una pena che può andare da uno a quattro anni.
Nel 2005, su 89.887 persone entrate nelle carceri, gli stranieri erano 40.606 (circa il 40 per cento). I migranti entrati in carcere per aver disobbedito all'ordine di andarsene sono stati 11.519 e 9.615 di questi, quindi più di un decimo dei detenuti entrati in carcere e circa metà di quelli che saranno scarcerati per l'indulto, non hanno commesso altri reati.
Un migrante privo di permesso di soggiorno scarcerato al momento dell'uscita probabilmente trova alla matricola del carcere un ordine che gli impone di lasciare il territorio dello Stato in cinque giorni. Questo provvedimento sarà molto spesso ignorato, perché essendo privo di passaporto il migrante non può andarsene, perché non ha assolutamente i soldi per tornare a casa e spesso anche perché nel suo paese lo attendono carestie e guerre che gli fanno sembrare la vita da clandestino accettabile. Nel giro di uno o due mesi si imbatterà in un controllo di polizia che verificherà che ha disatteso l'ordine e sarà processato. Il giudice lo troverà «recidivo specifico» perché già non aveva ottemperato ad un ordine analogo, o addirittura pluri-recidivo, perché aveva commesso anche qualche piccolo reato tipico dei migranti irregolari (piccoli furti, piccolo spaccio o falsificazione di documenti). A norma della ex-Cirielli se è la seconda volta che commette il reato di non rispettare l'ordine di andarsene sarà condannato ad una pena aumentata della metà rispetto a quella prevista per questo reato, se poi il migrante aveva commesso un altro reato, la pena sarà aumentata di due terzi. Il migrante tornerà dunque in carcere con una pena consistente che potrebbe persino superare i due anni e quindi provocare, per la sola colpa di non essersi allontanato dal territorio, la revoca l'indulto.
Lo stesso discorso vale per l'altra categoria di soggetti «fisiologicamente recidivi», i tossicodipendenti, con la complicazione che le pene previste oggi per i consumatori di droghe sono più elevate di quelle previste per i migranti che non ottemperano all'ordine di andarsene, per cui spessissimo le nuove condanne comporteranno la revoca dell'indulto.
Se non si bloccano i meccanismi creati dalla combinazione tra Bossi-Fini, Fini-Giovanardi ed ex Cirielli, entro pochi mesi scopriremo che l'indulto ha contribuito ad una nuova ondata di criminalizzazione delle fasce sociali marginali e a peggiorare notevolmente la condizione di sovraffollamento delle carceri, perché molte delle persone scarcerate saranno rientrate in galera e con pene più lunghe.

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